Un viaggio nella memoria e nelle radici di un giornalista libero, Giovanni Spampinato, ucciso a Ragusa il 27 Ottobre 1972 per le sue coraggiose inchieste pubblicate dal quotidiano L’Ora di Palermo sul neofascismo italiano collegato alla mafia siciliana, al quale ieri, 23 aprile 2022, il Comune di San Michele di Ganzeria (Catania) – con in testa il sindaco Giovanni Petta e l’assessore comunale Carolina Traversa – ha intitolato una piazza.
Un viaggio nella memoria e nelle radici nel paese di origine del padre di Giovanni, quel Giuseppe Spampinato, ufficiale dei partigiani, per tanti anni presidente dell’Anpi di Ragusa, che in Sicilia orientale ha lasciato un ricordo indelebile per i valori della democrazia, della pace e della libertà, che ha portato avanti per molti anni.
Un viaggio nella memoria e nelle radici nel cinquantesimo anniversario dell’assassinio di Giovanni (alla vigilia del 25 Aprile), in una bella giornata di sole, caratterizzata da una cerimonia semplice ma ricca di momenti intensi, nella quale è stata commemorata la figura di questo giovane cronista (aveva 26 anni quando fu ucciso dal figlio del presidente del Tribunale di Ragusa) con tante belle parole e con questa nuova piazza che lo ricorderà per sempre.
CHI ERA GIOVANNI SPAMPINATO. Giovanni Spampinato aveva 26 anni quando fu ucciso, era un bravissimo cronista, un grande intellettuale, comunista e cattolico. Scriveva sull’unico quotidiano anti mafioso della Sicilia: “L’Ora” di Palermo. I suoi reportage riguardavano essenzialmente le trame del neofascismo in Sicilia, all’epoca legate al fallito golpe Borghese, al regime dei colonnelli greci e al traffico di materiale di antiquariato. Egli faceva a Ragusa quello che Peppino Impastato nel frattempo faceva a Cinisi: una denuncia a trecentosessanta gradi sul nesso fra eversione nera e potere bianco e nero, e quindi fra i campi paramilitari fascisti, gli strani sbarchi nella costa iblea di droga e di materiale di antiquariato, e i viaggi in Grecia di alcuni neofascisti siracusani evidentemente affascinati dal colpo di Stato dei colonnelli, e magari desiderosi di apprendere la loro lezione. Spampinato, come Impastato, aveva capito con molto anticipo i fili di collegamento di una struttura clandestina che in futuro avremmo chiamato “Gladio”.
Ma gli scoop che posero Giovanni all’attenzione dell’opinione pubblica siciliana furono due. Il primo riguardava la presenza di Stefano Delle Chiaie a Ragusa (anche questo ignorato dalla Rai), nel periodo in cui il leader neofascista era ricercato per la strage di piazza Fontana e per l’attentato all’Altare alla Patria di Roma. Il secondo concerneva il coinvolgimento del figlio del presidente del Tribunale di Ragusa, Roberto Campria – futuro assassino di Spampinato – nell’omicidio dell’ingegnere ragusano Angelo Tumino, fascista, coinvolto nel torbido commercio degli oggetti di antiquariato.
Il cronista de ”L’Ora” fu l’unico, fra i giornalisti ragusani, a scrivere che Campria – anch’egli simpatizzante per l’estrema destra, e detentore di un arsenale di armi non denunciato – era stato messo “sotto torchio” dai magistrati locali dopo il delitto dell’ingegnere-antiquario. Ed anche l’unico a scrivere che Campria e Tumino erano stati visti insieme qualche ora prima del delitto. L’unico a scrivere che, dopo quell’omicidio, il figlio del presidente del Tribunale si precipitò nell’abitazione della vittima (con cui era molto amico) per rovistare nei cassetti, “come se volesse cercare qualcosa”. L’unico a scrivere che Roberto aveva raccontato un sacco di balle ai magistrati. L’unico ad avere inquadrato quell’omicidio nel contesto del neofascismo locale e del traffico di oggetti di antiquariato. L’unico a sorbirsi gli insulti del suo futuro assassino, ed anche una querela. Peccato che in occasione della prima udienza il querelante non ritenne di presentarsi in Tribunale.
Nel frattempo Giovanni denunciava alla Federazione provinciale del partito comunista italiano: 1) di essere pedinato dalla Polizia; 2) di avere il telefono sotto controllo; 3) di aver notato che l’inchiesta sul delitto Tumino era stata insabbiata in quanto “si vuole proteggere qualcuno che sta molto in alto”; 4) di essere la possibile vittima di una “provocazione” che avrebbe potuto avere effetti devastanti per la sua persona. Dalla Federazione comunista nessuna risposta.
Un giorno Campria convocò una conferenza stampa alla quale parteciparono tutti i cronisti locali, compreso Spampinato. Il giorno dopo, il cronista de “L’Ora”, non solo riportò fedelmente la versione di Roberto, ma aggiunse delle parole che possiamo considerare una sorta di testamento spirituale: “Adesso Campria, che probabilmente non c’entra nulla col delitto Tumino, torna nell’ombra”. Una frase che dimostra la sua buona fede e che lo scagiona dall’accusa che qualche magistrato ragusano (segnatamente Giustino Duchi e Agostino Fera, allora impegnati proprio nell’indagine sul delitto Tumino) ripete ancor oggi senza uno straccio di prova: ovvero che Campria avrebbe assassinato Spampinato in seguito ad una serie di “provocazioni” fatte dal giornalista.
Fera ancora oggi dice che era Spampinato a cercare ossessivamente Campria e non il contrario, come risulta dagli atti processuali.
Questi: 1) l’inchiesta sul delitto Tumino, invece di essere trasferita per “legittima suspicione” al Tribunale di Catania, rimase a Ragusa, dove fu chiusa senza l’individuazione degli assassini, ma in compenso con una serie di calunnie nei confronti di Spampinato; 2) dopo il delitto Tumino, Roberto Campria si recò dal sostituto procuratore Agostino Fera e dall’allora comandante della Guardia di Finanza, Carlo Calvano, per confidare loro di essere stato avvicinato da un “personaggio insospettabile” che gli avrebbe chiesto di facilitare lo sbarco, attraverso la corruzione degli agenti della Guardia di Finanza preposti al controllo, di materiale di antiquariato, e di portare fino a Palermo una valigetta probabilmente carica di droga; 3) nella stessa mattina in cui fu ucciso Tumino, l’antiquario fu visto su una macchina in compagnia del presidente del Tribunale Saverio Campria e della moglie.
E allora sorgono spontanee delle domande: perché l’inchiesta sul delitto Tumino non fu trasferita ad altra sede, dato che il figlio del presidente del Tribunale era implicato? Perché non si accertò il motivo per il quale il presidente del Tribunale e la moglie erano in compagnia di Tumino poche ore prima del delitto? Perché – circostanza gravissima che inopinatamente viene censurata sempre – l’ex maggiore della Guardia di Finanza e l’ex sostituto Fera non sentirono il dovere di approfondire le confidenza fatte loro da Campria? Perché non scrissero un rapporto ai superiori? Perché non individuarono il “personaggio insospettabile” che aveva avvicinato Campria? Perché non si posero una semplicissima domanda: è logico che un “personaggio insospettabile” avvicini il figlio di un magistrato per una missione così scabrosa? È logico un fatto del genere se non esiste un rapporto pregresso fra i due? Perché dopo quella conferenza stampa, Campria cercava sempre Spampinato? Era ossessionato da quello che sarebbe potuto emergere non solo sul delitto Tumino?
Approfondire questi elementi significa spingersi “oltre”, molto “oltre”. Significa scrutare quel mondo misterioso e perverso del neofascismo e della criminalità locale di cui Giovanni aveva compreso i collegamenti e la pericolosità. Un mondo di cui, nel processo d’Appello, parlò un magistrato illuminato come Tommaso Auletta (ignorato spesso anche lui ), il quale nella sua arringa al processo, disse: “Campria ha ucciso Spampinato come prova di fedeltà a quel mondo”. I magistrati ragusani, invece, preferirono mettere tutto a tacere. Risultato: Agostino Fera è rimasto a Ragusa per 40 anni, malgrado i dubbi dell’opinione pubblica e le interrogazioni parlamentari sul suo conto.
Luciano Mirone
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