Le sue parole sono sassi che schiacciano qualsiasi tentativo di mistificazione di quello Stato deviato che in questi trent’anni ha depistato le indagini sulla strage di via D’Amelio e ha ordinato l’omicidio “strategico” dell’ex “uomo d’onore” di Caltanissetta, Luigi Ilardo, infiltratosi dentro Cosa nostra per svelare le dinamiche inconfessabili della Trattativa Stato-Mafia, del delitto di Paolo Borsellino, del nascondiglio segreto del boss Bernardo Provenzano.
Luana Ilardo è la figlia di Luigi ed è una donna sensibile, l’eloquio semplice e pacato, mai una parola fuori luogo, mai un momento di scompostezza, ogni tanto le si inumidiscono gli occhi, ma continua a scandire le parole che penetrano nell’anima, nella mente e nel cuore delle persone che ascoltano. Come quelle che ieri sera hanno partecipato a Belpasso (Catania), presso il Cortile Russo Giusti, alla “giornata della memoria” dedicata a Paolo Borsellino e agli agenti della sua scorta, a trent’anni dalla strage di via D’Amelio, una manifestazione organizzata dal quotidiano online L’Informazione, presentata da chi scrive e patrocinata dal Comune di Belpasso.
Luana aveva sedici anni quando una pioggia di piombo colpì suo padre. In quel momento sentì gli spari da casa, un palazzo immerso nel traffico di Catania dove Luigi era andato a vivere con la moglie e due figlie per rifarsi una vita. Una stretta al cuore. “Oddio, mio padre!”. Luana era sicura. Quei colpi erano destinati a lui. Si precipitò in strada ed ebbe la conferma. Una pozza di sangue circondava quel corpo esanime. Gli si avvicinò, non c’era più niente da fare. Strinse i pugni, si fece coraggio, da quel momento la sua vita non fu più la stessa. Da quel momento decise che doveva dedicare la sua esistenza a fare verità e giustizia sulla morte del padre.
Era stato consumato l’ennesimo “Omicidio di Stato” (dal titolo del libro di Anna Vinci, editore Chiarelettere), di cui Luana è unica e straordinaria testimone. Un omicidio “strategico”, ma anche “paradigmatico”, nel senso che attraverso l’assassinio di quest’uomo lacerato dai sensi di colpa (“non aveva mai ucciso nessuno”, dice Luana) emerge l’identità di quel pezzo di Stato deviato che dall’immediato dopoguerra ha condizionato la vita democratica di quell’altro pezzo di Stato che onestamente – malgrado tanta indifferenza – fa di tutto perché questo Paese non sprofondi nella barbarie.
Dopo 12 anni trascorsi in carcere, Luigi stava cominciando ad apprezzare i veri valori della vita: la famiglia, la giornata al mare, la gita in montagna, la pagella scolastica, il film a casa stando mano nella mano coi propri cari, la battuta, il sorriso, i sogni, le tante “piccole cose” della vita.
Quando nell’animo di un “uomo d’onore” (“costretto a diventare tale a causa della povertà e di un contesto sociale deviato”) scattano questi meccanismi, per Cosa nostra non c’è scampo: la partita è persa. È la vita contro la morte, la luce contro le tenebre, la bellezza contro l’orrore. Quando ti spingi “oltre”, il danaro diventa un mezzo, non un fine. E allora il traffico di droga diventa un’impostura della quale avere orrore. Per la mafia è la fine. Questo accadde nella testa di Luigi Ilardo dopo la morte di Borsellino.
“Il problema è che la mafia, purtroppo, quasi sempre riesce ad avere il sopravvento a causa di una classe politica piena di cialtroni, di farisei e di mistificatori”, dice l’avvocato Enzo Guarnera, presidente dell’Associazione Antimafia e legalità, altro ospite della manifestazione. Non a caso – spiega il legale – pochi sanno certe verità. Chi conosce gli autori dei depistaggi seguiti alla strage di via D’Amelio, la vicenda di Luigi Ilardo, i rapporti fra mafia e politica?”.
“Si asseconda questo consumismo senz’anima, senza spiegare ai ragazzi il significato della parola cultura e dei principi della vita. Il sistema della mafia e dell’illegalità si riproduce, coltiva gli interessi illeciti di sempre, impedisce l’accertamento della verità. La ‘borghesia mafiosa’ politico-istituzionale continua ad uccidere la memoria”.
Per questo, dice sempre Guarnera, “amo andare nelle scuole per parlare coi giovani. Sono loro la vera speranza. Le vecchie generazioni sono ormai legate ai loro schemi mentali duri a morire”.
In ogni caso, dice sempre il legale, è fondamentale non abbassare la guardia, organizzare eventi come questi, concentrarsi sulle storture che riguardano le nostre città: “E’ facile – dice Guarnera – dichiararsi contro la mafia e per la legalità: lo fanno tutti. E’ difficile mettere in pratica certi propositi sbandierati. A Belpasso c’è un Piano regolatore scaduto da 20 anni, un tasso di abusivismo edilizio fra i più alti della Sicilia. Sfido l’Amministrazione comunale a confrontarsi su questi temi. Sfida accettata dall’assessore comunale Moreno Pecorino, intervenuto al posto del sindaco Daniele Motta.
Poi il discorso di Luana scivola inevitabilmente sulle figure dell’ex procuratore di Caltanissetta Gianni Tinebra e dell’ex capo della Squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera, “responsabili principali”, secondo la sentenza del Borsellino quater, dei depistaggi delle indagini su via D’Amelio attraverso la “costruzione” del falso pentito Vincenzo Scarantino con i metodi più incredibili: dalla tortura all’offerta di denaro, dal lavaggio del cervello alle strane argomentazioni di Tinebra (“Basta con i sensi di colpa, Scarantino: si metta in testa che affermare il falso è un lavoro come un altro”). Infatti per vent’anni – a causa delle dichiarazioni del “pentito” della Guadagna – sono stati rinchiusi in carcere dei mafiosi del tutto estranei alla strage.
Verità alle quali saremmo potuti arrivare molti anni fa se Luigi Ilardo non fosse stato tradito. Un tradimento che coincide con alcuni fatti sconvolgenti che vedono protagonista assoluto l’ex procuratore di Caltanissetta: Tinebra che per ben 57 giorni ignora Borsellino che gli chiede di essere ascoltato sui segreti della recente strage di Capaci; Tinebra che dopo l’eccidio di via D’Amelio ha fretta di contattare il numero 2 del Sisde Bruno Contrada per portare avanti le indagini, malgrado il divieto assoluto imposto dalla legge di collaborazione fra magistratura e servizi segreti; Tinebra che scopre i segreti di Luigi Ilardo.
Alla fine Borsellino e Ilardo vengono uccisi, Provenzano resta latitante per tanti anni, in compenso i “principali depistatori” fanno carriera. Però adesso non possono pagare il loro conto (eventuale) con la giustizia: nel frattempo sono morti entrambi.
Il dibattito è stato contrassegnato dagli interventi degli imprenditori belpassesi Giuseppe Condorelli, patron dell’omonima industria dolciaria, e Mario Cavallaro, titolare di un’azienda edilizia, che con le loro denunce hanno fatto arrestare diversi boss delle estorsioni: “Facciamo appello a tutti gli imprenditori di denunciare sempre”.
Luciano Mirone
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