Da cinquant’anni per la giustizia ufficiale è un delitto “comune”, anzi no, è un delitto causato dalla “provocazione” della vittima nei confronti del suo carnefice. Non è così. Per l’omicidio del giornalista Giovanni Spampinato, 26 anni, di Ragusa, il contesto è quello del neofascismo collegato con Cosa nostra palermitana attraverso personaggi locali che la magistratura ragusana non ha mai ritenuto di identificare.
Eppure l’assassino, Roberto Campria, figlio del presidente del tribunale di Ragusa, si è costituito subito, è stato pure condannato a 14 anni (poi ridotti per buona condotta), da alcuni anni è passato a miglior vita, quindi che Giovanni Spampinato riposi in pace. E che se ne stiano in pace anche i suoi familiari e quei pochissimi cronisti che all’omicidio “d’impeto” di questo straordinario giornalista del quotidiano L’Ora (ucciso la sera del 27 ottobre 1972) non hanno mai creduto.
“Omicidio comune causato dalla provocazione”, ripete da mezzo secolo l’ex procuratore di Ragusa Agostino Fera (che oggi si gode la meritata pensione), in compagnia di qualche collega che non vuol sentir parlare di altre ipotesi: “Spampinato se l’è cercata. Campria era vittima delle sue continue provocazioni”, è il refrain che circola ancora negli ambienti bene della città.
MISTER X E LE AMNESIE DI FERA. Peccato che Fera non ricordi un “piccolo” particolare: un incontro, poco prima del delitto, fra il figlio del presidente del Tribunale e un tizio “al di sopra di ogni sospetto” rimasto per sempre nell’ombra: non uno qualsiasi, ma un trafficante di droga, non per una chiacchierata fra bontemponi, ma per un paio di missioni pericolose da compiere. Il contesto criminale del ragusano, a quel tempo, è dominato dal boss Giuseppe Cirasa, collegato con Cosa nostra palermitana, che si occupa di traffici miliardari ed opera indisturbato (in tutti i sensi) nella zona fra Scoglitti e Vittoria.
Mister X (come svelato per la prima volta dal sottoscritto nel suo libro Gli insabbiati, edito da Castelvecchi) chiede a Campria di utilizzare il suo status di figlio del presidente del Tribunale per favorire lo sbarco di droga e di materiale di antiquariato nella costa ragusana. Sì insomma, una strategia di convincimento nei confronti della guardia di finanza per chiudere gli occhi su certi strani movimenti che l’intreccio fascismo-Cosa nostra, fin da quegli anni, sta portando avanti nella provincia “babba”, cioè esente, secondo certa vulgata, dal fenomeno mafioso.
Poi Mister X va oltre e dice a Campria se se la sente di trasportare una valigetta carica di droga a Palermo. Campria dice di essersi rifiutato, ma da questa “chiacchierata” emerge un rapporto pregresso, per giunta fatto di cose losche, fra i due. In caso contrario, come si sarebbe permesso, il famigerato Mister X, di proporre al figlio di un alto magistrato una cosa del genere?
Questa notizia, il dottor Fera non l’apprende al bar o nei club service di cui ha sempre fatto parte, ma direttamente da Roberto durante una confessione drammatica che questi fa anche al maggiore carlo Calvano, comandante della Guardia di finanza di Ragusa. Una confessione che né il magistrato, né l’ufficiale delle Fiamme gialle hanno ritenuto di far mettere a verbale. Entrambi dichiareranno tutto ai superiori – con colpevole ritardo – solo dopo l’assassinio di Spampinato.
Eppure ce n’è abbastanza perché entrambi facciano due più due: se si parla di droga c’è di mezzo la mafia, se c’è di mezzo la mafia è una cosa grossa, se è una cosa grossa, Campria potrebbe essere coinvolto fino al collo. Fino a che punto, non lo sappiamo, poiché Fera, i suoi superiori e il maggiore Calvano non si sono mai presi la briga di approfondirlo.
CAMPRIA ANELLO DI CONGIUNZIONE? Ma se tanto mi dà tanto, Campria potrebbe essere l’anello di congiunzione di una catena di cui mafia, affari, neofascismo e certi Colletti bianchi della città potrebbero far parte. Non lo sappiamo. Sappiamo però che Campria (detentore di un arsenale sia a casa dei genitori, che nella residenza ufficiale) ha sempre goduto della compiacenza della magistratura ragusana (e non solo) ancor prima che uccidesse Spampinato. Solo per riguardo verso suo padre o per ragioni imperscrutabili?
Quando confessa a Fera questi retroscena, il giovane vive una situazione al limite della disperazione: è il principale sospettato del delitto Tumino (una storia collegata all’omicidio Spampinato: ora ne parliamo), per cui l’avvenente fidanzata Emilia ha interrotto il rapporto sentimentale, probabilmente si sente braccato da qualcuno che lo ritiene troppo pericoloso per i segreti inconfessabili di cui è depositario. In più sente il fiato sul collo di Spampinato, che ha capito tutto.
Negli ultimi tempi i rapporti fra Roberto e Giovanni sembrano distesi, il primo cerca ripetutamente il secondo (Fera afferma esattamente il contrario) per diventargli amico e per cercare di esplorarne i segreti e le intenzioni, ma il cronista è troppo intelligente per non fiutare il gioco. E questo, il figlio del presidente del Tribunale lo sa, come sa che Giovanni continua ad indagare su quel mondo perverso al quale Roberto è molto “fedele”, secondo la definizione del pubblico ministero di Catania, Tommaso Auletta.
SPAMPINATO INFORMATISSIMO. Spampinato è troppo informato sulle trame che si intessono nel ragusano fra la fine degli anni Sessanta e l’inizio del decennio successivo fra diverse entità dell’eversione politica e criminale. Trame che riguardano diverse “cosette” che per i magistrati di allora neanche esistono, e se esistono devono essere censurate: traffici di droga, di armi e di ingente materiale di antiquariato che si verificano nella costa iblea, le “gite” in Grecia dei neofascisti dell’isola ansiosi di apprendere le nuove tecniche di colpo di Stato messe in atto dai colonnelli ellenici; i campi paramilitari in Sicilia (denunciati da Giovanni e contemporaneamente da Peppino Impastato); la “visita” a Ragusa, fra gli anni ’60 e ’70, del neofascista Stefano Delle Chiaie, ideologo della strategia della tensione, ricercato in quel momento per la strage di piazza Fontana a Milano e tirato in ballo, un paio di anni fa da una trasmissione Rai, per una incursione nella città siciliana in periodi più recenti.
Un quadro eversivo. Che però nella tranquilla Ragusa non deve essere disvelato. Giovanni è l’unico, fra i cronisti locali, a farlo, incoraggiato da un grande giornalista come Vittorio Nisticò, che allora dirige L’Ora. Nisticò gli dà spazio e fiducia, al contrario delle forze di polizia che gli restringono sia l’uno che l’altra: gli mettono qualcuno alle calcagna e intercettano le sue conversazioni telefoniche (per conto di chi?), con una magistratura che nel frattempo preferisce occuparsi d’altro. Quali traffici di droga, di armi e di oggetti di antiquariato, quali “gite” in Grecia, quali colpi di Stato, quali campi paramilitari, quale Delle Chiaie? A Ragusa tutto questo non esiste. Spampinato è un folle.
IL DELITTO TUMINO. Peccato che nel febbraio del ’72 (otto mesi prima del delitto Spampinato) succede un fatto che turba la pax ragusana: viene trovato ucciso l’ingegnere Tumino, fascista e commerciante di oggetti di antiquariato, amico stretto di Roberto Campria e di certi personaggi della criminalità organizzata: non boss di primissimo piano, ma soggetti che comunque ne fanno parte.
Tumino è un personaggio estroverso, si muove fra il lecito e l’illecito, possiede un gruppo scultoreo di inestimabile valore che ha recuperato da poco: qualcuno lo ha adocchiato e lo vuole. Forse è proprio quest’opera a decretare la sua condanna a morte.
Il giorno in cui Tumino viene assassinato, viene visto addirittura con il presidente del Tribunale dottor Saverio Campria e con la consorte, a bordo di un’auto mentre transitano dal centro storico. Il perché non si è mai saputo. Sarebbe stato interessante chiarire anche questo.
Poi l’ingegnere viene visto mentre esce di casa in compagnia dello stesso Roberto e di un personaggio che corrisponde alle fattezze fisiche e somatiche di certo Giovanni Cutrone, simpatie neofasciste, accusato di far parte del sottobosco mafioso. L’indomani Tumino viene trovato morto in contrada “Ciarberi”, un luogo di campagna a circa dodici chilometri dalla città.
Quando si sparge la notizia, Campria fa due cose: si reca a casa della vittima “per rovistare i cassetti alla ricerca di qualcosa” (cosa, non si è mai saputo), come dice il figlio di Tumino, Marco, e si precipita sia dai carabinieri, sia al Palazzo di giustizia per non meglio precisati motivi: lui dice per “dare notizie che possono essere utili alle indagini”. Ma intanto gira come un cavallo imbizzarrito.
Da giornalista di razza, Spampinato viene a capo di tutto: ha delle fonti attendibili in Tribunale e fra le forze di polizia. Scopre che Roberto, quel pomeriggio, non solo è stato visto con l’ingegnere mentre è uscito dall’abitazione di costui, ma che la descrizione fatta dai contadini di “Ciarberi” corrisponde straordinariamente all’identikit di Campria (un giovane bassino, magro e con gli occhiali). Giovanni mette in fila i fatti, li verifica e pubblica un articolo che mette a soqquadro la città: “Delitto Tumino. Sotto torchio il figlio di un magistrato”. Succede l’inferno.
Roberto querela Giovanni, ma non si presenta all’udienza: viene condannato a pagare le spese processuali. Contemporaneamente rilascia certe dichiarazioni al quotidiano La Sicilia definendo “mente malata” chi osa dire che lui è il principale sospettato del delitto Tumino. Infine indice una conferenza stampa a casa sua, alla quale invita pure Giovanni Spampinato, il quale riporta la versione di Roberto, concludendo così: “Adesso Roberto Campria, che probabilmente non c’entra nulla col delitto Tumino, torna nell’ombra”. Probabilmente… “Quanto dovremo aspettare – continua – perché sia fatta luce sull’assassino o sugli assassini?”.
Da quel momento, il figlio del magistrato fa di tutto per cercare la benevolenza di Spampinato: gli telefona sempre, gli dà appuntamenti nei luoghi più disparati, gli confida molte cose sperando che il cronista faccia altrettanto, si iscrive, lui uomo di destra, persino alla federazione ragusana del partito comunista, di cui Giovanni fa parte da quando è ragazzino (suo padre è un ex partigiano).
Insomma, un’”amicizia” tutt’altro che disinteressata, iniziata con il fine di scoprire le verità di cui il cronista è in possesso. Certo, il giornalista ha scritto che Campria non c’entra col delitto Tumino, ma c’è quel “probabilmente” che lascia delle ipotesi aperte. E questo turba non poco il figlio del magistrato. Che nel giro di qualche mese perde molti chili, non dorme, rischia l’esaurimento nervoso.
L’ALIBI DELL’EX FIDANZATA. A tormentarlo, fra le altre cose, la paura che l’ex fidanzata non confermi l’alibi relativo alla sera dell’assassinio Tumino. Agli inquirenti, il ragazzo ha detto di avere guardato a casa di Emilia, fino a tarda sera, il Festival di Sanremo, ma intanto emerge che durante la manifestazione canora si è assentato per circa tre quarti d’ora. Per far cosa? Mistero anche su questo.
Dopo quella sera, Emilia tronca improvvisamente il rapporto con lui e se ne va a Roma da certi parenti. Ai genitori confida: “Roberto è il maggiore sospettato del delitto Tumino. Non me la sento di continuare”. Perché una decisione del genere, se l’alibi di Roberto verrà successivamente confermato parola per parola?
Adesso, a 50 anni dalla morte di Giovanni, una magistratura finalmente rinnovata ha riaperto il caso. Lo si deve al sostituto Santi Fornasier se in due anni sono stati ascoltati diversi testimoni che potrebbero dare un contributo importante per risolvere questo mistero.
Salvatore Spampinato, fratello minore del cronista (aveva 16 anni quando fu ucciso), oggi, 27 ottobre 2022, presenta il suo libro sull’assassinio di Giovanni (attraverso un dialogo col giornalista Angelo Di Natale, che ha curato la prefazione), raccontando molti retroscena interessanti e inediti sull’indagine e sull’intenso rapporto affettivo che lo legava (e lo lega) a Giovanni.
Fornasier, così come tanti altri, è convinto che il delitto Spampinato sia collegato col delitto Tumino. Può darsi. Ma è fondamentale scoprire l’identità di Mister X, probabile anello di congiunzione fra i due omicidi. Su questo, diversi personaggi ancora in vita (a cominciare dall’ex procuratore Fera) potrebbero farsi tornare la memoria.
Luciano Mirone
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