Ventisettemila richieste di sanatoria edilizia su sessantamila abitanti a Ischia non sono solo un dato, ma l’emblema dello scempio di questa Italia di cemento e di fango che continua a produrre morte e corruzione. Ventisettemila richieste di sanatoria edilizia significa che quasi metà della popolazione di questa bellissima isola ha costruito abusivamente, ma significa soprattutto che la classe politica, che ha strumenti a disposizione (ingegneri, geologi, urbanisti) per vietare le costruzioni in zona franosa, ha lasciato fare, perché in fondo ventisettemila richieste sono ventisettemila famiglie che votano e che eleggono parlamentari nazionali e regionali, sindaci e consiglieri comunali.
In Italia le classi politiche si formano così. Non attraverso il merito, l’etica e la preparazione, ma attraverso il cemento e il fango. Se poi i tecnici ai quali ci si rivolge per il fatidico condono, occupano la poltrona di amministratore comunale, meglio: la pratica si velocizza e tutto si ottiene in tempi celeri.
Ischia è il paradigma di una Nazione che si indigna dopo ogni tragedia, che punta il dito “sui soccorsi non arrivati in tempo”, “sui soldi stanziati e non spesi”, ma dimentica subito, perché dimenticare significa non sentirsi in colpa per aver votato i veri responsabili di queste sciagure.
Fra le varie forme di clientelismo (dall’impiego pubblico senza concorsi, alla pensione per invalidità fasulla), quello del cemento ha gli effetti collaterali più devastanti: basta recarsi in certi luoghi della Sicilia, della Calabria e della Campania per comprendere cosa voglia dire massacrare i territori e i centri storici.
È la forma di clientelismo più subdola, perché dietro ad un diritto fondamentale come la casa si cela un micidiale rapporto di scambio fra la politica (certa politica) e la gente comune, un legame di corruzione che coinvolge il Parlamento, le Regioni, i Comuni e si allarga a macchia d’olio ai cittadini. Il Parlamento fa le leggi e i condoni, le Regioni recepiscono, i Comuni lasciano costruire, rilasciano le sanatorie, non redigono i Piani regolatori, coltivano questi immensi feudi elettorali e i cittadini si prestano a questo rapporto malato di do un des che non ha mai fine.
Sì, in fondo ventisettemila è un numero freddo, che dice e non dice. Bisogna viverci in certe realtà del meridione per capire il rapporto perverso che si instaura fra amministratori e cittadini tramite il cemento.
I primi basano il loro potere sulle compravendite dei terreni, sulle lottizzazioni, sui progetti abusivi, sulle demolizioni in centro storico; i secondi che non solo si adeguano ma demonizzano chi, ponendosi controcorrente, mette il pericolo il sistema che ha consentito irregolarità, soprusi e privilegi. Non è più solo un problema di carattere idrogeologico o estetico, è una categoria dello spirito.
La politica degli ultimi decenni è basata soprattutto su questo. E’ un fenomeno sottovalutato, ma è la chiave per comprendere come questa nuova forma di “questione meridionale” stia coinvolgendo tutto il nostro Paese, soprattutto dal punto di vista culturale. La gente si indigna (giustamente) per le tasse o per il caro vita, non per l’abusivismo edilizio (la risposta è sempre questa: “però c’è lavoro”) che è più devastante dell’uno e dell’altro.
Su questo la sinistra e il M5S dovrebbero riflettere. Non è più tempo di ambiguità. Soprattutto in tempi di emergenza climatica. O si costruisce una politica alternativa basata sul rispetto dell’ambiente e della bellezza, o si soccombe.
Nella foto: la frana che ha investito Ischia causando morti e feriti
Luciano Mirone
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