“Il ponte si fa, assolutamente, lo confermano gli ingegneri. Sarà l’opera più ecocompatibile e green al mondo. L’obiettivo è partire con i lavori entro due anni” e poi “completarlo entro cinque-sei anni”. Lo ha detto il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, Matteo Salvini, a Rtl (Ansa). 

In merito a queste dichiarazioni rilasciate questa mattina dal ministro Salvini, pubblichiamo un articolo uscito due anni fa su questo giornale (che sottoscriviamo in pieno) in seguito alle analoghe affermazioni fatte dall’allora ministro alle Infrastrutture del governo Draghi, Massimo Garavaglia.

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Essere contro il Ponte tout court è sbagliato, ma non trattare l’argomento a trecentosessanta gradi pure.

Siamo d’accordo con chi dice che la tecnologia moderna ha dato prova di realizzazioni di opere pubbliche che sembravano impossibili, dimostrando di possedere intelligenze, professionalità, materiali di prim’ordine per costruire ponti, dighe, strade, autostrade, ferrovie e tanto altro.

Ma siamo pure d’accordo con chi sostiene che la situazione esistente fra Scilla e Cariddi è piena di vistose criticità che non possono essere trascurate. E badate bene: non si tratta “dei soliti quattro ambientalisti” – come dice qualcuno – che si dichiarano “contro a prescindere”, ma di fior di scienziati o di magistrati che nulla hanno da guadagnare dalla mancata costruzione dell’opera.

Cosa dicono costoro?

1)      Che Calabria e Sicilia si allontanano di qualche millimetro l’anno; 2) Che le coste della Sicilia e della Calabria sono fra le più franose del mondo; 3) Che nel 1908 Messina e Reggio subirono una delle più drammatiche catastrofi della storia a causa di uno tsunami e di un terremoto che nella città siciliana causarono 80mila morti su circa 140 mila abitanti, con il 90 per cento delle case demolite, e nella città calabrese 15mila morti su 45mila abitanti; 4) Che secondo la scienza questi fenomeni tellurici si ripetono ciclicamente; 5) Che la mafia e la ‘ndrangheta non aspettano che questo per mettere le mani su appalti, subappalti, terreni e tanto altro, sia con le buone che con le cattive, sia con il “dialogo” – lo stesso che alcuni anni fa teorizzò il ministro del Governo Berlusconi, Pietro Lunardi, quando disse che “con la mafia bisogna convivere” – che con le bombe.

Su questi punti si potranno fare le obiezioni più pertinenti e plausibili del mondo, ma da un ministro della Repubblica ci saremmo aspettati un discorso più completo, più pratico, più reale. Lo sappiamo che la mancanza di un “collegamento stabile” fra Calabria e Sicilia rallenta la mobilità fra le due regioni e quindi fra un pezzo d’Italia e l’Europa, ma sappiamo pure che dall’altro lato si dice che il rischio che si corre è quello paradossale di rallentarlo ancora di più se una materia del genere viene liquidata con superficialità da entrambe le parti.

E allora che si avvii un dibattito serio (nazionale ed europeo) fra scienziati, politici, magistrati, ambientalisti ed esponenti della Società civile sul Ponte sullo Stretto. E alla fine si traggano le conclusioni.

Ma intanto un esempio va fatto. Fino a una quindicina di anni fa, a Messina, la stragrande maggioranza dell’opinione pubblica era a favore dell’opera. A spiegarne “le magnifiche sorti e progressive” erano stati, fino a quel momento, i soliti noti.  

Poi arrivò un certo Renato Accorinti, un docente di scienze motorie da sempre contrario all’infrastruttura che con i suoi amici cominciò a girare nelle facoltà universitarie, nelle scuole, negli uffici, nei campetti di periferia per spiegare che la storia del Ponte non era così suggestiva come l’avevano narrata Lor Signori.

E con l’aiuto di valenti docenti universitari, si cominciarono a spiegare, con carte alla mano, perché l’edificazione di un manufatto del genere avrebbe potuto generare un impatto negativo sulla città e su tutta la zona costiera, sia siciliana che calabrese. Praticamente si era innescato un meccanismo che nei paesi civili si chiama “dibattito democratico”.            

Nel giro di pochi anni la città cominciò a registrare un’inversione di tendenza cui pochi all’inizio credevano, al punto che Accorinti diventò sindaco. Perché la verità non è mai bianca o nera, ma contiene delle sfumature che soltanto il sapere ci dà la possibilità di vedere.

Signor ministro, siamo d’accordo con lei: l’attraversamento in traghetto dello Stretto di Messina frena la velocità di transito degli uomini e delle merci, ma ci dica concretamente: come si costruisce un ponte fra due sponde che si allontanano costantemente e si trovano in un territorio tellurico e franoso come questo? Come si costruisce un ponte di quelle dimensioni lasciando fuori ‘ndrangheta e Cosa nostra?

Nella foto: il plastico che riproduce il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina

Luciano Mirone