C’è un paese tra Catania e Taormina che sta vivendo i suoi giorni di passione per un processo a carico di un tale che col falso profilo Facebook di Gino di Tacco, dal 2016 al 2021, è stato l’incubo di diverse persone (soprattutto donne) per i post che ha pubblicato sui Social. Per questo i magistrati lo accusano di “diffamazione aggravata a mezzo social”. Sul banco degli imputati un altro tizio indicato come il complice di Gino di Tacco. Da un lato, quindi, (almeno) questi due soggetti che per cinque anni, con le loro ingiurie, hanno messo a ferro e fuoco il paese. Dall’altro le donne, che si sono ribellate con le armi del diritto e della civiltà.
Dalle testimonianze rese finora pare che stia emergendo una situazione molto più inquietante di quella che p stata stabilita finora: una macchina del fango ben organizzata preposta a spiare i movimenti di alcuni soggetti e a sbatterli sui Social attraverso una serie di situazioni inventate, con tanto di commenti volgari.
Per la gente di Calatabiano si tratta di un processo (iniziato nell’aprile dello scorso anno) destinato a passare alla storia, un processo che sembra uscito da un racconto surreale del Medioevo, uno dei primi in Italia in cui la parola stalking fa capolino nei Palazzi di giustizia. Secondo alcune vittime, sembra che Gino di Tacco sia a capo di un vero e proprio “cerchio magico” di cui parecchi individui, anche di un certo livello sociale, fanno parte.
E allora è d’obbligo una domanda. Si tratta di persone disturbate o di una “squadra” che – fingendo di essere disturbata – agisce per delle ragioni che soltanto il processo che si sta celebrando a Catania potrà stabilire? Vedremo.
Dopo tredici mesi il dibattimento sta entrando nel vivo: pochi giorni fa il giudice ha ascoltato alcuni testimoni indicati da chi, dall’altro lato, con coraggio e abnegazione, sfidando le cattiverie vomitate sui Social, si è costituita parte civile: una donna, Ida Bonfiglio, di cui i giornali dovrebbero parlare di più, poiché Ida fa parte di quella schiera di italiani che in silenzio lotta per un Paese migliore.
Ida è una donna discreta. Ama i fiori, adora i libri, le piace vivere e lasciare che gli altri vivano, ha uno spiccato senso della solidarietà. Ma insorge di fronte alle ingiustizie.
Senza retorica e senza manie di protagonismo, sempre da dietro le quinte, organizza manifestazioni antimafia ed eventi culturali di altissimo livello, propone (con successo) di intitolare il parco di Calatabiano al piccolo Giuseppe Di Matteo (undici anni, colpevole di essere il figlio di un pentito e quindi condannato ad essere sciolto nell’acido), è sempre in prima linea quando c’è da prendere una posizione per una causa giusta.
Ida è riuscita in un’impresa alla quale pochi credevano: raccogliere prove contro i molestatori che hanno seminato veleni, testimonianze e indizi, esporre i fatti ai Carabinieri, fare scattare l’inchiesta e – soprattutto – fare iniziare il processo. E’ lei – con la costituzione di parte civile – la vera protagonista di questa storia, che ha spinto diverse altre donne del paese a lottare contro un maschilismo (solo questo?) becero e abietto. Qualcuno, un giorno, magari in occasione dell’8 marzo, dovrà ringraziarla. E consegnarle un bel premio sull’emancipazione e sull’impegno civile.
Luciano Mirone
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