Una media di quattrocento persone al giorno – dal 30 settembre scorso – provenienti da tutto il mondo. Alla fine a visitare “Morfì” (“Forma” in greco antico), fino al prossimo 16 novembre, potrebbero essere in ventimila. Gente proveniente con le navi da crociera che, a giorni alterni, approdano al porto di Siracusa e si riversano a frotte (circa cinquemila ) nella splendida perla del barocco siciliano, Ortigia, l’isoletta incastonata nella città più greca della Sicilia.
Questi i numeri della mostra allestita dallo scultore Nicola Dell’Erba al Castello Maniace di Siracusa. Senza contare i dati registrati di recente in altre città siciliane toccate dall’artista: da Taormina a Messina, fino a Milazzo.
Cifre considerevoli per Nicola Dell’Erba, che espone dodici sculture di arte moderna realizzate in pietra lavica, in marmo e in travertino, che si sposano con l’architettura gotico-siculo-sveva di questo superbo maniero del 1200 che si affaccia sul mare, destinato anticamente alla residenza dell’imperatore Federico II di Svevia.
“A Siracusa – dice lo scultore brontese – hanno avuto la conferma di ciò che in Sicilia non tutti hanno capito: l’arte contemporanea si sposa con i beni culturali dell’antichità”. Magari non tutta, ma certa arte moderna si integra con le linee, i colori, la materia della notte dei tempi. Tra il polemico e l’ironico, Nicola fa l’esempio di Catania: “Non sempre il Castello Ursino è accessibile. E questo per me, desideroso di seguire le orme ‘siciliane’ di Federico II, non è bello”.
A Siracusa sono più lungimiranti?
“Certamente – afferma lo scultore di Bronte – . Il direttore del Castello ha visto le mie opere e ne ha intuito le potenzialità: una intesa con la Sovrintendenza ai Beni culturali e la mostra è stata organizzata in tempi brevi”.
Nella struttura che ha ospitato la sfilata di Dolce e Gabbana, c’è quindi spazio per gli scultori che propongono delle opere che parlano di Socrate, di Platone e del significato antico di giustizia?
“Assolutamente sì. Non a caso – prosegue Nicola – la scultura raffigurata nei manifesti di questa mostra è Dike, la dea della giustizia cacciata dall’Olimpo dagli altri dei che non conoscono la giustizia, ma la follia”.
Al centro c’è Dike, attorno il popolo che si aggrega intorno all’ideale di giustizia. Un concetto antico ma anche molto utopico, non credi?
“Guai se l’artista non avesse delle utopie: sarebbe come una lastra di vetro opaca al di là della quale non vedrebbe nulla. Con le sue intuizioni, l’artista deve vedere lontano, anche al di là dei confini del reale. Per intuire quello che c’è oltre”.
Luciano Mirone
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