Migliaia di persone ieri sono scese in piazza a Messina per dire No al Ponte sullo Stretto. Un corteo colorato si è snodato lungo le vie cittadine con cori, cartelli, striscioni e bandiere per spiegare al Governo Meloni che la loro opposizione al Ponte più lungo del mondo (quattro chilometri a campata unica, come il Morandi di Genova, anche se quest’ultima struttura misurava molto meno) nel territorio più sismico, più ventoso, più franoso, più mafioso del mondo, non è preconcetta, ma scaturisce da studi di autorevolissimi scienziati, secondo i quali il progetto presenta delle criticità talmente evidenti da dover portare la premier, il Ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e tutta la compagine governativa quantomeno ad affrontare la questione con quel pizzico di umiltà che la buona politica richiede.
Soprattutto il leader della Lega accusa di “ideologia preconcetta” esperti come Mario Tozzi, Luca Mercalli e insigni rappresentanti del mondo accademico, senza porsi il problema (da ministro, quindi da rappresentante delle istituzioni) di creare un confronto serio sui temi che essi pongono. E se i giornalisti lo incalzano con le domande, li fa allontanare dalle guardie del corpo.
Se poi si considera che nei mesi scorsi, Salvini, ha bollato come “vergognose” le denunce di un prete antimafia come don Luigi Ciotti (scortato ventiquattrore su ventiquattro per i rischi che corre), quando questi si è permesso di dire che “il Ponte non unirà due coste, ma due cosche”, il quadro è completo.
Fossimo in lui ci sintonizzeremmo su Rai Play per guardare con attenzione l’ultima puntata di Report, nella quale – attraverso uno studio serio delle carte e diverse testimonianze autorevoli – vengono approfondite le criticità dell’opera.
Bisogna partire da un dato. Il governo sta utilizzando un progetto vecchio di dodici anni: un nuovo elaborato richiederebbe altri anni di studi, di ricerche e di soldi, con la certezza (lo dice lo stesso Salvini) che l’opera non si farebbe.
Quindi meglio partire con gli appalti, anche se negli ultimi dodici anni sono cambiate tante cose, specie il clima. Non importa se il Ponte si costruirà in un luogo attraversato da micidiali correnti d’aria che un tempo si chiamavano “trombe” ed oggi sinistramente uragani, tornado, tempeste. Il lessico non cambia per moda. Si adatta alle nuove situazioni. Che piaccia o meno a Salvini.
Catastrofisti? Magari! Purtroppo temiamo che catastrofica sia la situazione. L’emergenza climatica sta avanzando a ritmi così vertiginosi da spiazzare perfino gli scienziati. Se l’essere umano non cambierà abitudini, specie in riferimento all’uso dei combustibili fossili, la situazione peggiorerà.
Il governo risponde dicendo che la tecnologia – in fatto di costruzione di ponti – ormai ha fatto passi da gigante. Vogliamo certezze che provengano dal confronto fra scienziati, dai dati, dagli studi attuali, non dalle parole in libertà di un ministro che dispone di un progetto vecchio di oltre un decennio.
Non importa se nel 1908 Messina e Reggio Calabria furono rase al suolo da un terremoto e da un maremoto che causarono 90 mila morti in Sicilia e 70 mila in Calabria. Il sottosuolo di queste due regioni è attraversato da una faglia di grandi proporzioni che non sta ferma, ciclicamente si muove: non sempre fa danni, ma qualche volta fa disastri, che l’uomo non può né prevedere, né governare. Può solo adattarsi.
E già, in fatto di criticità (peraltro gravi) siamo a due: i venti e i terremoti. Nel primo caso – secondo gli esperti – la struttura subirebbe una inclinazione che creerebbe non pochi problemi alla percorrenza dei treni (sì, perché dal Ponte passerebbero anche i treni, che in una struttura in pendenza avrebbero qualche problema a transitare). Nel secondo, attendiamo una risposta dal ministro Salvini, atteso che, sempre quella maledetta scienza da sempre nemica della demagogia, spiega da tempo che un ponte in una zona tellurica come questa sarebbe micidiale per chi l’attraversa.
Qualcuno dice che un’opera adeguatamente costruita potrebbe resistere. Vorremmo crederci, ma vorremmo capire (qualcuno ce lo spieghi con le carte in mano) fino a quale grado sismico. Ma soprattutto vorremmo comprendere quali sono gli accorgimenti previsti in caso di uno tsunami simile a quello del 1908.
Questo al netto delle mafie, dei conflitti di interessi, del disastroso sistema di trasporti che c’è in Sicilia (una decina di ore in treno da Catania a Trapani: 300 chilometri), del fatto che Sicilia e Calabria tendono ad allontanarsi di qualche centimetro l’anno, dei disagi che per decenni creeranno non pochi problemi agli abitanti delle due sponde, a cominciare dall’enorme quantità di terra di riporto trasportata da una grande quantità di camion che attraverserebbero Messina e paralizzerebbero il traffico della città.
Neanche su questo ci risulta che sia stato previsto un piano alternativo del traffico, né una discarica dove depositare tutto il materiale di risulta. Bazzecole, avrebbe detto Totò.
Luciano Mirone
Esattamrente così!!!!