L’assoluzione dell’editore catanese Mario Ciancio (“perché il fatto non sussiste”) accusato di concorso esterno in associazione mafiosa arriva nel giorno del quarantacinquesimo anniversario dell’assassinio del giornalista palermitano Mario Francese (26 gennaio 1979) e nello stesso mese del quarantesimo anniversario dell’assassinio del fondatore e direttore de I Siciliani Giuseppe Fava (5 gennaio 1984).
Nessun nesso fra date, ma mettiamola così: nel nostro Paese c’è chi viene ucciso se fa la lotta alla mafia e chi la fa franca se – come sostiene la Procura della Repubblica di Catania – fa affari con la mafia. Il fatto che costui faccia favori “oggettivi” a Cosa nostra quando si tratta di infangare la figura di un grande intellettuale come Fava (come dimenticare i memorabili pezzi di Tony Zermo?), di pubblicare gli appelli di Santapaola dalla latitanza, di non pubblicare il necrologio che parla di mafia dei familiari del commissario Beppe Montana (ucciso a Palermo il 28 luglio 1985), di tagliare le foto che raffigurano Claudio Fava (quasi miracolato da un attentato), di cazziare un giornalista davanti al boss se il primo si permette di parlare male del secondo, non suffraga un’alleanza, al massimo può essere criticabile sul piano storico o culturale, ma non costituisce reato.
Sicuramente i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Catania hanno avuto degli argomenti corposi se hanno deciso di non prendere in considerazione le tesi del Pubblico ministero che aveva chiesto una condanna di dodici anni dell’imprenditore etneo e la confisca dei suoi beni che equivalgono ad un valore di 150 (centocinquanta) milioni di Euro.
Resta il fatto di cui sopra. Ma quella di ieri, per il movimento antimafia, non può essere considerata una sconfitta. Ciancio ha superato i 90 anni. Un processo nei suoi confronti avrebbe avuto senso negli “anni ruggenti” dei depistaggi, delle mistificazioni e dei delitti eccellenti, ma allora la città non era pronta per processare una parte del potere che l’ha governata, non era pronta per guardarsi allo specchio, non era pronta per vergognarsi delle sue oscene complicità.
Con grandissimo ritardo il processo all’ intoccabile si è celebrato oggi: ha avuto un esito, che può piacere o non piacere, ma certe verità – a prescindere dalla sentenza – restano scolpite come intaglio nella roccia e non possono essere cancellate, come è successo con i Cavalieri, con Andreotti e con Berlusconi. Fra Fava e Ciancio, un giorno, ad essere ricordato (e ammirato) sarà uno, l’altro sarà seppellito dall’amnesia. E questa, forse, sarà la condanna più dolorosa.
Luciano Mirone
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