Il gruppo delle ‘ntuppatedde, figure che dal 1600 fanno parte del composito panorama umano che attornia la festa di Sant’Agata a Catania (secondo la tradizione si tratta di “donne velate che anticamente non erano ben viste”), polemizzano con l’Arcivescovo, mons. Luigi Renna, per le parole che costui ha pronunciato durante la celebrazione della “messa dell’aurora” di ieri: “Mi è dispiaciuto – ha detto l’Arcivescovo della città etnea – vedere ancora una volta dietro le candelore quelle ragazze vestite di bianco. Già in passato – ha proseguito mons. Renna – un mio predecessore aveva vietato la loro partecipazione. Ci sono tradizioni da tramandare ed altre sanno di paganesimo e vanno sradicate. Sant’Agata è morta, non è andata a fare un ballo in discoteca. Per onorarla è meglio indossare il sacco e recitare la preghiera  semplice del santo Rosario”.

Dura la risposta di Elena Rosa, che, “a nome di tutte le ‘ntuppatedde” scrive: “La nostra apparizione, la mattina del 3 febbraio, rivendica la presenza del femminile nella festa, siamo devote alla santa, alla donna e alla libertà. Sant’Agata ricordiamo è morta non di morte naturale ma per mano di uomo. Non  abbiamo mai mancato di rispetto alla religiosità della festa e la nostra non è una ‘esibizione individualistica’, ma è relazione, comunità e aggregazione gioiosa. Consideriamo la danza una manifestazione del sacro. Perché la danza è preghiera, è comunità, è liberazione”.

“La profetessa Miriam, sorella d’Aronne – spiega Elena Rosa – , esterna la sua esultanza e ringrazia Dio,
dopo il passaggio del Mar Rosso, ‘formando cori di danze’ con le altre donne, suonando i timpani e cantando (Cf Es 15,20)”.

“Non smentiamo gli aspetti pagani della nostra presenza – prosegue la rappresentante delle ‘ntupatedde – semplicemente perché fa parte della storia, ricordando anche il lontano culto di Iside. Non vogliamo
cancellare le tracce del passato perché quello che siamo è una stratificazione di memoria e diversità”.

“Nel 2013 – seguita la signora Rosa – siamo ritornate omaggiando le ultime ‘Ntuppatedde apparse nel 1868 quando furono insultate, fischiate e cacciate via in quanto donne che rivendicavano la propria libertà. Il passato persiste nel presente e qui si pone di nuovo una negazione che riguarda sempre la donna, vogliamo ritornare a negarle come nei secoli passati perché adesso danzano con un velo e un fiore in mano?”.

“Il nostro passo è così pericoloso?”, scrive Elena Rosa. “È necessario confrontarsi, dialogare e capire le motivazioni antropologiche e sociali che sottendono ad un movimento che perdura da più di dieci anni e che la gente ormai aspetta. Che piaccia o no ‘la festa è un pullulare di più realtà che in quei giorni si ritrovano insieme a convivere nella pluralità del loro linguaggio”.

“D’altronde – seguita la lettera aperta – la Festa di S.Agata perché si chiama festa e non Funerale di S.Agata? Perché le candelore si annacano e dunque danzano circondate dalle bande con il
reportorio dei più disparati brani popolari? Perché i fuochi d’artificio? Perché un proliferare di fumi, banchetti e bancarelle festose?”.

“Perché è festa – conclude la rappresentante – e la festa è dei cittadini e delle cittadine, e della devozione che assume le forme della gioia come quelle della preghiera. Non siamo affatto noi il problema e lo scandalo della festa di S.Agata. Queste affermazioni che ci vogliono sradicare ci sembrano provenienti da un oscuro e triste passato di repressioni oltre che anacronistiche in questo momento storico, e ciò non fa che sottolineare l’importanza e la necessità sociale della nostra presenza”.

Nella foto: un’immagine della festa di Sant’Agata, patrona di Catania

Redazione