“Gino di Tacco” è morto. Il “leone da tastiera”, al secolo Vincenzo Scala, per anni terrore di diverse donne di Calatabiano (Catania) per i post infamanti su Facebook, non c’è più. La notizia risale ad alcune settimane fa, ma la apprendiamo a funerali celebrati.
Nelle aule del Tribunale di Catania, qualcuno ancora dice che “Gino di Tacco” (“Uomo sano e di liberi costumi”, come si definiva su Facebook) si trova davanti alla giustizia divina. Sì, perché fino a quando era in vita, lui e il suo presunto complice Rosario Patanè (figura secondaria, ma reale) sono stati al cospetto della giustizia degli uomini: da un paio d’anni stavano affrontando un processo presso il Palazzo di giustizia di Catania per diffamazione aggravata dall’uso dei Social e di internet.
“Gino di Tacco” è stato stroncato da un infarto in una di queste sonnacchiose giornate d’estate che caratterizzano questo centro di cinquemila abitanti fra Catania e Taormina. Un infarto fulminante. Non sappiamo se dovuto ad anomalie congenite del suo cuore o ad una tensione galoppante creatagli dalla durissima, implacabile ed inaspettata reazione (in un paese molto omertoso) di una delle vittime del suo stalking e dei suoi insulti: Ida Bonfiglio, donna tenace e da sempre impegnata contro la mafia e la corruzione.
Quando molti, con un sorrisetto ironico, ad una sua richiesta d’aiuto o di una semplice parola di conforto, le hanno sbattuto la porta in faccia, lei non si è persa d’animo, è andata dai Carabinieri, ha preso un legale (l’avvocato Graziano Cavallaro di Fiumefreddo di Sicilia, “persona che mi è stata molto vicina”, dice lei), ha raccolto centinaia di carte, si è rivolta al magistrato ed è riuscita a portare carnefice e presunto complice (diciamo “presunto” perché il processo è ancora in corso) davanti al giudice.
“Non è stato facile”, dice il legale. “Facebook non fornisce l’identità dei soggetti che si celano sotto falsi account. Sono necessarie delle rogatorie internazionali per individuare gli autori materiali delle diffamazioni. All’inizio il procedimento era stato archiviato. Ci siamo opposti cercando di far comprendere al Gip che la legge italiana non è ancora adeguata a questo nuovo tipo di reati. E questo crea vaste aree di impunità. Il giudice ha capito, ha accettato l’opposizione ed ha disposto un’indagine vecchio stile: la convocazione in Tribunale di numerose persone che hanno testimoniato”.
Nelle aule giudiziarie è emerso il quadro di un paese malato, dove i “Signori del male” credono di spadroneggiare in eterno facendo gli spavaldi grazie al silenzio di tutti. Calatabiano in questo senso è la metafora di tante comunità guaste: “Gino di Tacco” e il suo presunto complice non avrebbero agito da soli, ma per tanto tempo sarebbero stati ispirati, sorretti e incoraggiati da una fitta rete di soggetti che a quanto pare non avevano solo la mania di screditare lei ed altre donne di Calatabiano. Basta consultare quelle pagine (circa duemila iscritti) per vedere chi si complimenta, chi fa gli auguri, chi mette “mi piace”. Basta vedere per fare due più due.
Alla base sembra che ci fosse la politica. E Ida – col suo impegno civile che l’ha portata, fra le tante cose, a fare intitolare la villa comunale al piccolo Giuseppe Di Matteo, trucidato ad undici anni perché “colpevole” di essere figlio di un pentito che sapeva troppe cose sulle stragi del ’92-’93 – avrebbe potuto rappresentare un potenziale pericolo per un “sistema” da non intaccare, malgrado le sue stesse dichiarazioni: “Non mi sono mai candidata, né ho intenzione di farlo. Voglio essere una donna libera”.
Dalle carte dell’inchiesta trapela un mondo che va oltre il “paesanismo” bigotto di un tempo: “Odi e faide – ha scritto Ida – hanno dilaniato questa piccola comunità, odi e faide amplificati e resi ancora più violenti da un uso insano dei social”. Quindi? Quindi meglio prevenire che curare. Il che, detto fuor di metafora, vuol dire: intanto mettiamola fuori gioco, non si sa mai.
Il “caso Calatabiano” spiega meglio di un libro di antropologia come sono cambiati certi piccoli centri siciliani (e non solo). Non più l’immagine stereotipata dei paesini nei quali regnava il pettegolezzo, la noia, l’ignoranza, l’invidia di alcuni, cui facevano da contrappeso la genuinità, l’ingenuità, l’ospitalità e la bellezza di altri: oggi in diverse comunità è il pensiero unico del dio danaro a dominare. Ecco allora che un piano regolatore, un terreno edificabile, un appalto, una lottizzazione, una licenza edilizia, un contributo per l’associazione diventano il terreno ideale per “scannare” gli oppositori e per far sentire l’odore del sangue tramite i Social.
Ecco quindi – secondo quanto si legge nelle carte dell’inchiesta – “Gino di Tacco” che un giorno si offre alla politica e propone l’uso della sua “macchina del fango” contro gli avversari in cambio di un posto in giunta (pare di vice sindaco). L’invito viene declinato, lui ne prende atto e che fa? Spara le sue bordate non direttamente contro il destinatario della proposta rifiutata, ma contro alcune donne che a vario titolo (la moglie, le amiche o le semplici conoscenti) fanno parte del suo contesto.
“La diffamazione per mezzo Social – dice l’avvocato Cavallaro – è terribile: genera una grande sofferenza. Si è messi alla berlina e non puoi neanche rispondere, perché poi il diffamatore e i suoi amici alzano il tiro. La cosa incredibile è che a mettere ‘mi piace’ erano perfino gli amici e le amiche delle vittime. Al cospetto del male, c’è gente che applaude. Una parte della comunità di Calatabiano non ne esce bene. Questi mezzi possono rovinare la vita di soggetti perbene. Il sistema giudiziario necessita di un rapido adeguamento. Bisogna trovare rimedi più efficaci”.
Questo giornale è orgoglioso di aver tirato fuori questa storia e di averla fatta conoscere all’opinione pubblica. È orgoglioso di avere definito Ida Bonfiglio un simbolo dell’8 marzo. Ed è orgoglioso di averla invitata a Belpasso (città nella quale la testata ha sede) in occasione dell’ultima edizione della Festa della donna, quando lei ha raccontato questa storia di fronte a duecento persone (e a migliaia di altre che hanno seguito la diretta online), che alla fine si sono spellate le mani per gli applausi e l’emozione.
Dopo la morte di “Gino di Tacco”, Ida ha scritto: “Per quanto mi riguarda considero chiuso l’ultimo capitolo del libro. Un libro di dolore e di tristezza, di miseria umana, codardia, colpevole indifferenza, ignoranza e cattiveria. Questo libro ha molti, troppi capitoli, ma mi è toccato viverlo e non mi sono sottratta. Adesso è finito, per me è chiuso, si è chiuso il mese scorso. Lo so sfogliando per l’ultima volta prima di riporlo, per sempre, nella libreria della mia vita. Lo metto nello scaffale in alto, quello dei libri che lasci impolverare, che, letto una volta, ti è bastato. Ma non lo butto via, i libri non si buttano mai via, né si bruciano: i libri hanno sempre qualcosa da insegnare, e stolto è chi non vuol imparare da loro”.
Nella foto: panorama di Calatabiano (Catania)
Luciano Mirone
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