Somigliava straordinariamente a Nada, forse era più dolce e solare, o almeno io la ricordo così. Avevo undici o dodici anni quando cominciai a sognarla, accadde quando cantò al festival dei bambini: il sorriso leggero come il volo di una farfalla, l’aria dinoccolata delle ragazzine distratte, l’entusiasmo che contagiava tutti. L’avevo idealizzata per questo.

Poteva avere un anno meno di me, era una bambina. Di lei, negli anni successivi, si sarebbe innamorato tutto il paese, Concettina era bella, quelle gambette esili sarebbero diventate delle gambe bellissime che su quella moto si muovevano agilmente, quella gonnellina a fiori indossata durante l’esibizione in teatro e durante le passeggiate della domenica mattina, sarebbero diventati gli abiti casual che andavano forte in quel periodo: o i pantaloncini di jeans corti e attillati, che avrebbero alimentato le fantasie di un sacco di gente, o i pantaloni a zampa di elefante dove una volta cadde inavvertitamente un po’ d’acqua e il fatto fu commentato dal più ingenuo del gruppo con delle parole incredibili che sarebbero passate alla storia.

La Patti degli anni Settanta era un luogo allegro, ingenuo, pulito e sensuale, una via di mezzo fra la Catania di Brancati e la Rimini di Fellini. Concettina era un simbolo (non l’unico) di quel mondo evoluto incastonato nella Sicilia arretrata di quegli anni.   

Quando il professore Irato pensò di valorizzare il festival dei bambini per farlo diventare uno dei gruppi folcloristici più belli e apprezzati della Sicilia, Concettina fu una delle prescelte. Per un periodo sperai di andare in coppia con lei al momento delle tarantelle,  ma non ci fu niente da fare, e allora pensai che l’approccio sarebbe stato sul pullmino, nel corso di una di quelle fantastiche trasferte del gruppo.

Ah, quei viaggi, i luoghi delle nostre prime scoperte attraverso le barzellette sulle suore, i doppi sensi, le canzoni spinte. Ero molto preso. Un giorno, mentre eravamo seduti vicini, mi disse: “Al ritorno, ad attendermi in piazza, ci sarà Gianfranco, mi regalerà il suo bellissimo cappellino”.

Era felice ed anche sovrappensiero, Concettina, confidenziale ma distaccata. Diversa dal solito. Sarà la timidezza perché magari le piaccio? Per tutto il viaggio convissi con questa convinzione che mi faceva vibrare. “Che hai?”, le chiesi all’arrivo. “Non l’hai capito?”. “No”. “Ho pensato al cappellino di Gianfranco. Per tutto il tempo”. peggio di un pugno nello stomaco.

Arrivò carnevale. Avete presente I Vitelloni di Fellini? L’atmosfera del carnevale che si viveva al teatro comunale di Patti era uguale a quella : la gente vestita in maschera, i coriandoli, le stelle filanti, il profumo delle donne, noi che cercavamo di sconfiggere la timidezza (per me quasi inguaribile) attraverso un bicchiere di whisky.

Quella volta me ne bastò un quarto per trovare la giusta via di mezzo fra l’euforia e la lucidità. Avevo la mascherina. Cominciai ad essere disinvolto, invitavo delle donne a ballare alle quali nei momenti di normalità non avrei mai avuto il coraggio di rivolgere una parola, inanellai una serie di battute che suscitarono l’ilarità delle partner.

Chi fu incuriosita da quella maschera un po’ strana e un po’ sui generis? Concettina. Che dopo un po’ si avvicinò e mi disse: “Ti va di ballare questo lento?”. Ero esaltato, persino spontaneo, lei rideva e ogni tanto mi chiedeva: “Ma chi sei?”. La prima, la seconda, la terza canzone e noi a muoverci su una mattonella con quella danza lenta e bellissima.

Alla quarta le svelai il mio nome, tutt’a un tratto il ballo diventò silenzioso e serio, consapevole. Poi arrivò il momento di andar via. Improvvisamente mi alzò la maschera e con le labbra sfiorò le mie. Era il primo bacio della mia vita. Dolcissimo e eterno. Come lei. 

P.S.: questo post scriptum per precisare che questo non è un articolo su una storia d’amore, che tra l’altro non è mai esistita (bacio a parte). Si tratta solo di un piccolo omaggio a una bambina, a una ragazza e a una donna che – da allora – non avrei più rivisto, dato che le nostre vite hanno preso strade  diverse. Un omaggio a una persona che, contrariamente alle apparenze, era fragile e vulnerabile, e per la quale ho provato una tenerezza infinita quando, due giorni fa, ho saputo del suo triste addio a questa terra. Ciao Concettina.

Nella foto: “Ritratto di volto di donna” (My BestCanvas.com. Stampe d’arte glyclée uniche)

Luciano Mirone