È bene che i Siciliani dicano con quale classe politica intendono gestire la desertificazione che avanza (entro sei anni un terzo dell’Isola sarà come il Sahara: lo dicono gli scienziati, e ultimamente anche il Guardian), i laghi che spariscono, i fiumi che si assottigliano, l’acqua sempre più scarsa (in molti centri dell’Isola siamo già alle autobotti), le piogge assenti da circa dieci mesi ma compensate ogni giorno da qualche spruzzo di fango (sabbia africana, altro segnale di avanzamento), le temperature tra i 40 e i 50 gradi, gli incendi devastanti, le alluvioni che si alternano al caldo perenne, sì, è bene che i Siciliani sciolgano questo nodo, oppure è bene che comincino a progettare una bella emigrazione di massa verso terre più ospitali e lontane, come succede ai nostri dirimpettai.
Del resto se la Sicilia è sopravvissuta a secoli di dominazioni, di carestie, di malattie, di saccheggi, di omicidi, di stragi, di ladrocini, e ha prodotto anticorpi resistenti, e ha sviluppato l’arte di arrangiarsi, di cosa dovrebbe preoccuparsi? Non abbiano una risposta certa, ma temiamo che l’“arte di arrangiarsi” stavolta non basti. Stavolta c’è l’impressione che siamo arrivati al “dunque”.
Ancora, tutto sommato, la situazione è “tranquilla”, e speriamo che tale resterà, ma se la siccità continuerà a persistere, la crisi agricola si acuirà, la spazzatura continuerà ad invadere le strade dell’Isola, l’acqua sarà sempre più scarsa, gli ospedali soffriranno la sete, come gestiremo questa catastrofe (ci dispiace per i “minimizzatori di professione”, ma non riusciamo a trovare un altro termine)?
Una cosa è certa: le catastrofi vanno affrontate efficacemente e per affrontarle ci vuole una classe politica adeguata, che magari smonti certi modelli basati sul petrolio, sul cemento, sui condoni edilizi, sulle cattedrali nel deserto, sull’approssimazione, sulla collusione, sul cinismo, sulla mancanza di senso civico e morale, e ne costruisca uno che sia esattamente il contrario.
Quale? Un sistema basato sull’azzeramento dell’energia prodotta dai combustibili fossili e su una gestione razionale delle energie alternative, su un’agricoltura sana, sul cemento zero, sulle ristrutturazioni, sulle opere utili, sulla raccolta differenziata, su una politica umana che non sia forte coi deboli e debole coi forti, sull’etica, sull’accoglienza, sulla pace, sul lavoro per tutti. Non è impossibile.
Certo, la situazione è sotto controllo (almeno per ora), ma il Padreterno è molto incazzato, e si vede. Temiamo che la Sicilia sia solo l’inizio. Dobbiamo solo capire cosa vogliamo fare.
Luciano Mirone
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