In ricordo del grande attore francese Alain Delon, deceduto stamane, vi proponiamo la straordinaria testimonianza raccolta da chi scrive di due amici siciliani dell’artista transalpino, il poeta Renzino Barbera e il principe Vanni Calvello di San Vincenzo, che raccontano alcuni retroscena de Il Gattopardo di Luchino Visconti, di cui furono protagonisti indiretti. 

Una scena de Il Gattopardo di Luchino Visconti. Da sinistra Alain Delon, Claudia Cardinale e Burt Lancaster. Sopra: l’attore francese con l’interprete di Angelica

 A Taormina troviamo altri due eccezionali testimoni de Il Gattopardo: il poeta palermitano Renzino Barbera, che vive qui dagli anni Settanta, e il principe (anche lui palermitano) Giuseppe Vanni Calvello di San Vincenzo (suo ospite). Il primo è stato (ed è) grande amico di Alain Delon, oltre che comparsa del film; il secondo il proprietario di Palazzo Gangi, un edificio del 1300 ubicato nel centro storico di Palermo, cinquecento stanze, con il “salone degli specchi”, che ospitò la celebre scena del valzer.

“Visconti aveva visitato moltissimi edifici antichi per ambientare la scena del ballo (la cui coreografia venne affidata ad Alberto Testa, nda.)”, ricorda il principe. “Non riusciva a trovare degli interni adatti alle sue esigenze. Un giorno conobbe mia madre, Stefania Mantegna Di Gangi, che lo portò a palazzo. Quando entrò nella sala degli specchi e vide un gattopardo raffigurato sul pavimento in ceramica, esclamò: ‘Magnifico! È proprio quello che cercavo”.

Il grande poeta palermitano Renzino Barbera

La sala da ballo era tutta oro: liscio sui cornicioni, cincischiato nelle inquadrature delle porte, damaschinato chiaro quasi argenteo… Nel soffitto gli Dei, reclini su scanni dorati, guardavano in giù sorridenti e inesorabili.

“Le prove del ballo”, prosegue il principe, “durarono quaranta giorni. Una cosa estenuante. Visconti era molto esigente: il romanzo di Tomasi parlava di biancheria proveniente da Parigi? Di vasi da notte dell’Ottocento? Di champagne dell’epoca? Non si girava fino a quando non si trovava tutto questo. Ogni attore doveva calarsi perfettamente nell’atmosfera descritta da Tomasi”.

Palazzo Gangi a Palermo, dove fu ambientata la celebre scena del ballo fra il principe di Salina e Angelica Sedara ne Il Gattopardo di Visconti

Per riprodurre fedelmente ogni scena, il regista limitò al massimo l’uso della luce elettrica disponendo l’accensione di migliaia di candele (unico mezzo di illuminazione all’epoca del Gattopardo), da spegnere e riaccendere tra una ripresa e l’altra. Fu allestita addirittura una lavanderia con cinquanta lavoranti che dovevano mantenere rigorosamente bianchi i guanti degli attori e delle comparse. Secondo il romanzo, le tavole imbandite dovevano ospitare ogni ben di Dio, cosa alla quale Visconti si adeguò perfettamente.

Aragoste lessate vive, chaud-froids di vitello, spigole immerse nelle sof-fici salse, i tacchini che il calore dei forni aveva dorato, le beccacce disossate, i pasticci di fegato grasso, due monumentali zuppiere d’argento che conte-nevano il consommé; babà sauri come il manto dei cavalli, Monte-Bianco nevosi di panna, collinette di profitteroles… E tanto altro che attori, comparse e figuranti dovevano ingurgitare.

Alain Delon e Claudia Cardinale alcuni anni fa

Nelle pause, le pietanze venivano sostituite da cibi freschi, sicché alla registrazione successiva tutti dovevano continuare a trangugiare quella cena pantagruelica.

“Molte famiglie dell’aristocrazia palermitana”, prosegue Calvello di San Vincenzo, “parteciparono al film facendo le comparse: Il Gattopardo fu l’occasione per risollevare le finanze di molte dinastie. Erano tempi grami per la nobiltà e noi affittammo il palazzo per ventisette milioni”.

Renzino Barbera sorride. Morto nel 2009, è stato un raffinatissimo poeta ed umorista, oltre che straordinario autore del musical Pipino il breve (con musiche di Tony Cucchiara), rappresentato dal Teatro Stabile di Catania in tutto il mondo: “La città”, ricorda Renzino, “fu stravolta da questa ondata di ricchezza portata dal film: davano trecentomila lire a comparsa, e ‘ppi nuatri picciuotti della Palermo andata era una somma che ci faceva sognare a occhi aperti. Tutti i giovani perbene ma puvirieddi, furono arricchiti”.

“Con Delon c’era una bella amicizia risalente a qualche anno prima. Quando venne a girare il film risiedeva con il cast nell’albergo palermitano di Villa Igiea, uno degli hotel più esclusivi della città. Una sera Alain mi presentò gli attori e mi chiese un favore: ‘A Villa Igiea non mi trovo a mio agio. Potresti trovare una casa tutta per me?’. Mi informai presso i principi Calvello di San Vincenzo se potevano affittargli il castello di Solanto, un meraviglioso manufatto sul mare a pochi chilometri da Palermo. ‘Un milione al mese”.

Il castello di Solanto, vicino Palermo

“Portai Alain al castello ed esclamai ironicamente: ‘Questa è la casetta’. Non mosse ciglio: ‘Va bene un milione’. L’attore fu felice di risiedere in un castello così suggestivo. ‘Avrai una camera tutta per te’, mi disse. Facevo una vita da miliardario senza avere una lira. Delon mandò a prendere il motoscafo da Parigi e mi portò al Village magique di Cefalù (poi Club mediterranèe), pieno di bellissime ragazze che quando lo videro impazzirono: ne caricò sette e le portò al castello. Ma Alain aveva un problema: la sua donna, l’attrice tedesca Romy Schneider, ogni tanto andava a trovarlo”.

Lei era molto innamorata, ma anche gelosissima; lui la amava, ma amava soprattutto la libertà. Fra me e Alain si era creata un’intesa straordinaria: ‘Renzino mi raccomando, quando ti strizzo l’occhio, prendi il motoscafo, vai a Cefalù e portami tante belle donne’. In passato si è parlato di una presunta omosessualità di Delon. Lo smentisco nel modo più assoluto. A Delon le donne sono sempre piaciute, e pure tanto. Al castello succedevano cose da pazzi. Un giorno scoppiò l’imprevisto: Romy arrivò all’improvviso. Si piazzò al centro della terrazza, mani ai fianchi, braccia larghe a mo’ di quartara siciliana. L’urlo si sentì da Palermo: ‘Chi sono quelle?’. E io: ‘Non ti preoccupare Romy, sono le mie sette sorelle”.

L’attrice austriaca Romy Schneider

Renzino fa una pausa e raccoglie altri ricordi: “Al castello di Solanto organizzavamo delle feste favolose. Una sera con un secchio, cato in siciliano, ci divertimmo a bagnare gli intervenuti. Quando Delon tornò dal suo viaggio di lavoro, un personaggio palermitano del quale preferisco mantenere l’anonimato disse: ‘Alan, quello che amo combinato con Renzino non ne hai un’idea. Fìcimo una festa… A un certo punto io e Renzino amo saliti sulla torre, ci amo affacciato alla finestra, amo pigliato un cato e non ti dico…’. Delon lo interruppe: ‘Cos’è il cato?’. E l’amico: ‘Renzino, come si dice cato in francese?”.

Poi il poeta diventa serio. “Il periodo del Gattopardo lo vissi godendo di questa amicizia di Delon, mangiando e dormendo nel castello. Ricordo certe serate, io, lui, e il vecchio cameriere dei principi San Vincenzo. Lui mi scrutava dalla testa ai piedi, e io mi chiedevo perché. Finalmente non si trattenne e si lasciò andare: ‘Sai Renzino, una cosa mi fa rabbia. Io ho tutto, i soldi…’. Mise le mani in tasca e tirò fuori un pugno di banconote. ‘Ho la Ferrari, potrei averne cinque o sei, ho la fama, ma non ho la gioia di vivere che leggo nei tuoi occhi’. E allora gli risposi: ‘Alain, la vita è come una camera, le cui finestre sono i desideri ai quali aspiri, mentre le pareti sono quello che non puoi avere. Io vivo in questa camera che ha un paio di finestre e poi è piena di pareti. Tu hai la stessa camera, ma senza pareti, perché non hai desideri, realizzi tutto quello che vuoi. Tu non puoi arredare casa tua, non hai dove appendere i quadri perché non hai pareti, non hai dove appoggiare i mobili. Ecco perché tu leggi nei miei occhi questa immensa gioia di vivere, io vivo la mia camera, perché ho delle finestre dalle quali affacciarmi e godere di panorami solo sognati”.

“Incontrai Delon qualche anno dopo, era al San Domenico, andai a trovarlo, forse un po’ illuso di continuare la vecchia amicizia. Mentre lo aspettavo, quasi quasi mi pentivo di essere lì. A un certo punto lui venne fuori ridendo: ‘La vita è una camera…’, e mi abbracciò. A distanza di tanti anni, quando incontra amici comuni, raccomanda sempre di salutarmi”.

“Che anni!”, dice il poeta. E subito dopo ripete: “Che anni!”. “Il massimo della felicità lo raggiungevo quando potevo permettermi di mettere mille lire di benzina nella vecchia Cinquecento. Fare scomparire il rosso della riserva, per me, equivaleva al pieno”.

Luciano Mirone

(tratto dal libro Il set delle meraviglie, L’Informazione editore)