Lo splendido Castello di Falconara, situato in mezzo ai comuni di Licata e Gela (in territorio di Butera), estremo lembo meridionale della Sicilia, dove il regista Paolo Genovese ha girato una parte de “I leoni di Sicilia” (serie televisiva tratta dall’omonimo best seller di Stefania Auci), è un simbolo della bellezza e dello sfregio riservati da secoli a quest’Isola.
Il maniero sorge negli anfratti più arcani della Sicilia più antica, fra le province di Caltanissetta e Agrigento, una perla incastonata fra le colline coltivate a frumento, le serre, le strade dissestate, i canneti rigogliosi e il mare inframezzato da isolotti naturali, scogli e sabbia finissima.
Gli spazi per l’allevamento dei falconi adibiti alla caccia, le postazioni di osservazione per difendere questo lembo di Sicilia dai turchi e dalle invasioni dei pirati, il parco allestito sul finire dell’Ottocento su progetto del grande architetto palermitano Ernesto Basile, le rare essenze mediterranee e la piscina naturale, le bellissime opere d’arte, le maioliche e le ceramiche che si trovano all’interno, sono i tratti più salienti di questo magnifico complesso architettonico nel quale, nel corso dei secoli, si sono alternati diversi proprietari, dai Santapau ai Branciforte fino ai Bordonaro, che contiene una miriade di altri elementi impossibili da elencare a uno a uno.
Questo castello è l’emblema delle magnificenze regalate e delle umiliazioni inflitte alla Sicilia. Per esprimere questo concetto le parole, forse, non bastano: bisogna andarci. E trovare accanto a questo possente impianto di pietra sorto nel 1300 (con un’ala aggiunta intorno al 1800) su un costone roccioso che si erge maestoso sul mare, una incredibile colata di cemento scaricata dagli anni Settanta del secolo scorso ad oggi, senza soluzione di continuità.
E se, con riferimento a mezzo secolo fa, possiamo trovare l’alibi (magari un po’ forzato) che le autorità del tempo non erano preparate ad evitare lo scempio, oggi che si continua ad edificare, il disastro non è giustificabile neanche dalle dietrologie di certo anti-ambientalismo d’accatto.
Ville private con e senza piscina, macchine, bar, ristoranti, pizzerie, insegne al neon di svariati colori, musica anni Settanta e Ottanta per assecondare le esigenze dei tanti emigrati – soprattutto in Germania – che in estate tornano nei loro paesi di origine: il tutto non distribuito nel raggio di diverse centinaia di metri (magari con stili e modelli un po’ più sobri), ma ammassato a ridosso del castello, non per valorizzarlo ma per soffocarlo, non per dare la possibilità di ammirarlo nella sua interezza,ma per deturparlo.
Solo un “assaggio” di quello che “ammireremo” dopo. Cominciamo dalle auto. Decine e decine, che nascondono la grande fontana di pietra bianca (una via di mezzo fra l’eleganza della Sicilia contadina e aristocratica) ubicata nello slargo antistante. Auto anche nella stradina (fortunatamente in terra battuta) che collega la piazzetta con la parte retrostante del castello.
Sì, perché il castello puoi ammirarlo soltanto dalla parte retrostante, cioè dalla spiaggia. Se vuoi entrarci dalla porta principale che lambisce la provinciale Licata-Gela, devi prenotare una camera dell’albergo lussuoso posto all’interno (come viene spiegato nel sito online) oppure partecipare a qualche evento di prestigio organizzato nella struttura. Ebbene sì, il castello è privato. Ecco perché il cancello è chiuso e il muro di cinta separa il castello dal resto del mondo. E la Regione Sicilia, preposta ad acquistare, a valorizzare e ad aprire al pubblico tesori di inestimabile valore come questi, dov’è? E la Sovrintendenza? E la politica? Solo delle domande che in quel momento restano sospese fra il pensiero e la voce.
“Suggestivo” (è detto con ironia) il tratto che costeggia la stradina sterrata. A destra gli edifici anni Settanta, Ottanta, Novanta e Duemila, a sinistra il muro di cinta del castello affrescato con vernice giallo paglierino.
Di fronte il mare, unico elemento naturale in questa giungla di cemento: interessante il fatto che ancor oggi – quando si pensa che l’umanità abbia acquistato una coscienza ambientalista – si continuino a buttar giù fondamenta, solette, pilastri, travi e tanto altro. Evidentemente il pensiero che il cittadino e le istituzioni abbiano finalmente metabolizzato la cultura del bello, della legalità e della natura incontaminata è solo un’illusione, in fin dei conti quel che conta è questo sbracamento collettivo perpetrato e perpetuato in nome dell’individualismo e del gusto del brutto, con voto finale in cabina elettorale per chi lo consente.
Un’illusione, certo. Prova ne sia quella scritta che qualcuno ha lasciato con lo spray rosso con fondo (ovviamente) grigio: “Basta abusivismo”. Una voce che declama nel deserto dell’indifferenza. Però a un certo punto ti accorgi che le istituzioni esistono anche qui.
Succede quando ti imbatti nel cartello del “Divieto di balneazione” apposto dal comune di Butera per “mancanza di apposito servizio di salvataggio”. Perbacco! Da un lato lo Stato vieta di fare il bagno, dall’altro chiude gli occhi di fronte ad una cementificazione che in altri Paesi sarebbe proibita nel raggio di almeno cinquecento metri.
Finalmente percorri la scala (rigorosamente in cemento) che porta alla spiaggia. Da qui ammiri uno dei golfi più belli della Sicilia: da un lato Licata con le sue case e i suoi palazzi, dall’altro Gela con le sue raffinerie di petrolio. Laggiù, a molti chilometri di distanza, si intravede la piattaforma petrolifera che pompa greggio dal fondo marino. E però questo è un pezzo di paradiso dove si sta a contatto coi faraglioni, con la sabbia gialla, con i bouganville, con i fiori di varie specie. Godiamocelo.
Quando arrivi sulla spiaggia, chiudi gli occhi, ti giri e vedi finalmente il castello nella sua interezza. Solo le foto possono descrivere tanta bellezza, le parole rischiano di essere insufficienti. Finalmente pensi di essere arrivato all’essenza, al punto di sintesi fra le bellezze degli uomini antichi e quelle del Padreterno. Altra illusione. Rotei il collo a trecentosessanta gradi e quando pensi che finalmente la vista può essere libera da altre brutture e contaminazioni varie, vedi che perfino lo spazio lato spiaggia che lambisce il castello è occupato da altre strutture destinate a non meglio precisati motivi.
Cosa c’entrino con il contesto architettonico del castello, chi scrive, non lo ha ancora capito. Ma intanto è pervaso da un dubbio: fare il bagno o no? Dubbio amletico, lo Stato potrebbe presentarsi in divisa ed estrarre il cartellino rosso.
Luciano Mirone
Lascia un commento...