Improvvisamente comincia a piovere. Non quella pioggia ristoratrice che in Sicilia invochiamo da mesi, ma una pioggia nera, sottile e intensa come “la pioggerellina di marzo che picchia argentina sui tegoli vecchi del tetto…”. Alcuni la chiamano cenere, altri sabbia, eppure nella notte di ferragosto dell’anno del Signore Duemilaventiquattro, quando dopo le esplosioni e i boati provenienti dalle viscere del cratere a poca distanza da qui, la “pioggerellina” comincia a cadere sul gazebo, hai l’impressione che si tratti di minuscole gocce d’acqua arrivate dopo le invocazioni, le preghiere, perfino le danze di questi mesi.

Da noi, genti dell’Etna, che da millenni viviamo sotto il vulcano più alto d’Europa, invece dell’acqua (in questa stagione di particolare maledizione climatica), piovono soltanto queste minuscole e porose particelle di lava, che, dopo l’esplosione del Gigante, si adagiano per terra e formano un tappeto nero. Dappertutto. Nelle strade, nelle campagne, nelle piazze, sui balconi. Un tappeto non incandescente come il fuoco che vedi alzarsi maestoso e possente verso il cielo stellato, ma freddo, sdrucciolevole e un po’ sinistro.

Sinistro sì, perché quando tutto questo non è accompagnato dall’acqua, la sensazione è che stia accadendo qualcosa che l’essere umano non immagina. Mica solo qui. No. In tutto il pianeta. La stessa sensazione di quando piove la sabbia rossa del Sahara, sempre più frequente , in media ogni due, tre giorni, e d è come se il deserto africano volesse prendersi altri spazi, molto tempo prima della “desertificazione” di cui gli scienziati parlano da decenni.

Da queste parti il tappeto è decisamente nero, con leggerissime striature di rosso che si  accumulano soprattutto sulle auto. Eppure ci conviviamo. Il giorno dopo, con pazienza, ci muniamo di scopa e spazziamo.

Come succede da secoli. Solo che in questa notte di ferragosto dell’anno del Signore Duamilaventiquattro, sotto questo gazebo in cui, accompagnati dalla musica, si conversa amabilmente di questa pioggia nera, nessuno ricorda un’annata così copiosa come questa, anzi, qualcuno dice che un tempo c’erano sì le eruzioni, ma senza questa frequentissima caduta di sabbia (o di cenere). Da lì alle previsione su un futuro apocalittico il passo è breve.

Intanto la musica continua, i boati pure e noi pensiamo che questo suono sia come “la pioggerellina di marzo che picchia argentina sui tegoli vecchi del tetto…”. Comunque è ferragosto. Domani pensa Dio.  

Luciano Mirone