Aveva ragione Rita Borsellino: il mestiere di giornalista, se svolto bene, può costruire il cambiamento. A Termini Imerese (Palermo) si sta verificando questa meravigliosa combinazione. La rassegna letteraria Termini Book Festival – giunta alla quinta edizione – da domani sera, 15 settembre 2024, quando si svolgerà un apposito momento, sarà intitolata a Cosimo Cristina.

Non è una cosa da poco. Cosimo Cristina non è una vittima di mafia come tante: per quarant’anni è stato considerato “un suicida”, uno “sfardato”, un giovane giornalista (appena 25 anni) andatosi a schiantare “volontariamente” contro un treno in corsa (5 maggio 1960). Per la giustizia termitana – la stessa che al tempo non vedeva tutte le nefandezze che succedevano nel proprio ambito – era un “disperato”, un “fallito”. Quindi bisognava dimenticarlo subito e soprattutto cancellare le sue straordinarie inchieste sulla mafia dei fratelli Gaeta, che a Termini, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, spadroneggiava impunemente controllando il mercato dell’edilizia e della droga e sedendo tranquillamente allo stesso tavolo con la politica.

E se l’opinione pubblica era ancora rosa dal tarlo del dubbio, niente paura: la chiesa dominata dal cardinale di Palermo Ernesto Ruffini e dall’arciprete della vicina Caccamo Teotista Panzeca, decretò: niente funerali per quel morto macchiatosi dello stesso peccato di Giuda.

Già. Era il periodo in cui Ruffini tuonava contro “i giornali del Nord e i social comunisti” che si erano inventati questa strana parola, mafia, che per la Sicilia, secondo l’alto prelato, aveva il sapore della menzogna, mentre Panzeca, uomo di raffinati studi letterari, intratteneva ottime relazioni con il cugino Giuseppe, presidente della commissione provinciale di Cosa nostra, predecessore nientemeno che di Gaetano Badalamenti, colui che diciotto anni dopo avrebbe ordinato di far saltare col tritolo Peppino Impastato, il cui delitto presenta molte analogie con quelle di Cosimo Cristina.

Quindi poche chiacchiere e niente funerali. Cosimo fu seppellito con una serie di ignominie appiccicate sulla pelle che, grazie al sigillo della chiesa, diventarono “vere”.

Ecco perché questa non è una commemorazione come tante. Questa intitolazione è figlia di una conoscenza e di una introspezione non comuni, ed è soprattutto figlia di una generazione di venti-trentenni che, non avendo vissuto direttamente quella storia, sta organizzando questa kermesse coordinata da Giorgio Lupo.

Dimenticare un “suicidio” è facile. Se ne parla per qualche settimana, poi tutto sbiadisce e la vita continua, anche per i familiari costretti a vivere in un posto dove la mafia non ha solo il potere di vita e di morte su tutti. A Termini è successo. Figuriamoci altrove, dove il nome di Cosimo Cristina non è mai arrivato. Per quarant’anni, per l’opinione pubblica nazionale, quel nome non è mai esistito.

Dopo l’uscita del mio libro, Gli insabbiati, sugli otto giornalisti assassinati in Sicilia, molte cose  sono cambiate. Sarebbe troppo lungo ripercorrere le tappe che mi hanno portato alla verità. Da allora, però, tutto non è più stato come prima.

Intanto perché ho trovato due persone straordinarie pronte a lottare per ristabilire la verità sulla morte di Cosimo: due Intellettuali con la I maiuscola. La dirigente scolastica Giusi Conti e il giornalista e scrittore Alfonso Lo Cascio. Non c’è un 5 maggio in cui non organizzino una manifestazione per ricordare il giornalista.   

A Termini c’è una via intitolata a Cosimo Cristina, all’ingresso della galleria di contrada “Fossola” dove nel 1960 fu trovato il cadavere del cronista, l’Ordine dei giornalisti di Sicilia, assieme al giornale “Espero” (diretto da Alfonso) e alle scuole (in questo caso, la mano di Giusi è evidente), hanno apposto una lapide per ricordarlo, addirittura si dice che il suo nome sia inciso nelle pareti di marmo nero del Museo dei giornalismo di New York fra i cronisti uccisi dalle guerre, dal terrorismo e dalle mafie.

Piccoli-grandi testimonianze che vogliono affermare una semplice verità negata: Cosimo Cristina è stato assassinato. Ecco perché le parole di Rita Borsellino – indimenticabile prefatrice del mio volume – sono sacrosante. Ecco perché questa non è una intitolazione come tante.

Nella foto: Cosimo Cristina

Luciano Mirone