Ci sono tre dati forniti dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) e dall’Osservatorio Prezzi e Tariffe di Cittadinanzattiva, che dovrebbero fare riflettere i siciliani sia sul ciclo dei rifiuti attualmente in corso nella loro regione, sia sulla classe politica che li governa e sia sugli ingenti guadagni dei soliti noti che però potrebbero mettere a rischio la salute dei siciliani.

Primo dato: Catania prima città italiana a pagare la tassa sui rifiuti più cara d’Italia (600 Euro l’anno), a fronte di un servizio fra i peggiori del Paese: basta fare un giro per la città per vedere sacchi di immondizia sparsi in ogni angolo di strada e magari allargare il tour in provincia per constatare – all’ombra di un patrimonio straordinario come l’Etna – spazzatura ai bordi delle strade, nelle piazzole di sosta, nelle campagne e nei boschi. Uno scandalo di enormi proporzioni che la Regione non è mai riuscita a risolvere, né ha mai tentato di farlo.

Possibile che con le ingenti risorse di cui dispone, non riesca a rimuovere e a differenziare – con l’ausilio di un’adeguata rete di raccolta e di trattamento – tutto quel pattume, non faccia una seria politica contro gli incivili che scaricano la spazzatura, non promuova una efficace educazione ambientale nelle scuole? Per quante giustificazioni si possano dare (a cominciare dalla maleducazione di certe persone) la risposta è una sola: non è possibile. 

Secondo dato: Palermo città italiana con la più bassa percentuale di raccolta differenziata (appena il 15,6 per cento), seguita dalla calabrese Crotone (21,4) e nuovamente da Catania (22), che con quest’ultimo numero conferma la situazione kafkiana che l’Isola vive in tema di rifiuti.

Terzo dato: la metà dei capoluoghi italiani ha raggiunto una percentuale di differenziata del 65 per cento, mentre in 20 capoluoghi (guarda caso concentrati al Sud, dove mafia, camorra e ‘ndrangheta hanno il predominio sul business dei rifiuti) siamo ancora lontani dalla cifra del 50 per cento fissata addirittura per il 2009.

Adesso incrociamo questi dati con il giro di affari di circa un miliardo di Euro che il governo siciliano presieduto da Renato Schifani sta portando avanti per incenerire i rifiuti nell’Isola (altro affare colossale gestito all’ombra delle cupole).

Mentre l’Europa chiede a tutti gli Stati membri di fare una raccolta differenziata elevata (circa l’80 per cento) per evitare di gettare negli inceneritori plastiche, gomme, batterie, eternit, che produrrebbero una sostanza micidiale come la diossina, la Sicilia risponde con questi dati e con l’accelerazione delle procedure per la realizzazione dei due inceneritori previsti rispettivamente a Palermo e a Catania.

Non sappiamo se tutto questo sia casuale o voluto, e però persone molto competenti in materia spiegano che il problema per le mafie e per certa politica è racchiuso in questa parola: differenziata. Più i rifiuti pesano più costano, più se ne producono (e si bruciano) più gli affari crescono. Se si differenzia adeguatamente, si alleggerisce il peso e nell’inceneritore andrebbero solo gli scarti organici, che non emettono diossina, ma che fanno abbassare notevolmente i costi e quindi il giro di affari.

Ecco perché all’inizio di questo articolo abbiamo detto che tutto questo rischia di  ritorcersi sulla pelle dei siciliani. Sta a loro osservare, capire ed evitare che certi scempi si compiano.

Nella foto: rifiuti sparsi nelle strade siciliane (repertorio)

Luciano Mirone