Tra le figure più eminenti legate alla storia di Belpasso (Catania) dello scorso secolo si pone, senza dubbio, quella del parroco Santi Roccella, conosciuto anche come patri don Santu ‘u Rizzu. Santo (Santi) Roccella è nato a Belpasso il 12 maggio del 1885. Ordinato presbitero il 28 ottobre del 1911 dal Cardinale Francica Nava, è stato parroco della Chiesa Madre di Belpasso dal 9 giugno 1939 fino al giorno della sua morte avvenuta l’8 dicembre del 1954, nel giorno della festa dell’Immacolata.

Don Santo Roccella, inteso “patri don Santu ‘u rizzu”, uno dei parroci storici della Chiesa Madre di Belpasso (Catania). Sopra: una cartolina antica del paese etneo che raffigura alcuni fotogrammi, fra cui il momento più bello dell’anno: la festa della Patrona, Santa Lucia  

L’immaginetta post mortem ne riassume i tratti umani e sacerdotali della sua vita: «Ministro di Dio si consacrò tutto alla Sua gloria e alla salvezza delle anime, con l’esempio e la parola dal pulpito, nel confessionale, col catechismo ai piccoli e ai grandi dell’Azione Cattolica. Rifulse per la sua carità verso i poveri, i cari vecchi del “Ricovero Cardinale Dusmet” e verso chi implorò il suo aiuto con non comuni sacrifizi. Volle la Chiesa Madre un vero monumento d’arte. L’Immacolata lo volle profumato di virtù in Cielo nella sua festa».

Padre Roccella, da Vicario foraneo e da parroco, ha guidato la comunità ecclesiale belpassese nei tempi bui del secondo conflitto mondiale. Decise di rimanere in paese nelle giornate più difficili per la comunità cittadina, come quel 6 agosto del 1943, unica giornata di guerra combattuta a Belpasso. Nei giorni che precedettero tale data, continuò a celebrare l’Eucarestia, a pregare e a infondere coraggio. Pensando a quanto avevano fatto gli abitanti dell’antica Malpasso e di Fenicia Moncada nei momenti più difficili, ripercorreva con la sua mente quella storia, che era anche la sua.

Nel volto dell’antico Crocifisso morente (u Signuri niuru) intravedeva il volto dei soldati e dei civili che perdevano la vita a motivo della guerra. Nel volto della Madonna il volto di ogni madre che piangeva per i propri figli. Nel volto di Lucia il volto di una sorella che condivideva ogni cammino di sofferenza.

Il primo gesto pubblico che il parroco Roccella decise di compiere, quando quelle tragiche giornate ebbero termine, nella domenica successiva al 6 agosto, fu quello di celebrare la Messa per la fine della guerra, esponendo il Simulacro e le Reliquie di Santa Lucia, riuscendo a riunire fraternamente tutto il paese, “da Sant’Antoni ‘a cruci di Vurreddu”, istituendo di fatto la Festa del Patrocinio.

Padre Roccella soleva ripetere “Lucia luce” quando parlava della Santa patrona ai fedeli, che nei giorni della tredicina e della festa gremivano la Matrice, cantando a squarciagola sulle note struggenti di “Evviva Lucia”. 

“Lucia luce”, un binomio che nella santa siracusana incarna il Vangelo: «Voi siete la luce del mondo…Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Mt 5, 14.16). Lucia è stata testimone di un cammino di luce che l’ha portata a contemplare la Luce del volto di Cristo. I suoi “occhi rivolti al Signore” gli hanno permesso di superare qualsiasi genere di prova, fino al martirio.

Il cammino di fede di Lucia si intreccia con il cammino spirituale di una comunità cristiana che dal 1636 ne invoca l’intercessione e la guarda come modello di vita cristiana. Possiamo così comprendere perché padre Roccella si commuoveva fino alle lacrime quando nel giorno della festa patronale vedeva quel popolo numeroso in processione dietro il fercolo: metafora di un pellegrinaggio che continuava, ininterrotto da secoli, nello spazio e nel tempo.

Alfio Lipera