Il Corpo di santa Lucia. Solo un involucro o un profondo simbolo del Sacro? Il Corpo di santa Lucia, proveniente da Venezia, dove è conservato da secoli, sarà per la prima volta a Belpasso (Catania) il 27 e il 28 dicembre.
Dal 14 dicembre, fino al giorno di Natale, è stato esposto a Siracusa, patria della santa e luogo del suo martirio. Ripartirà a fine mese (dopo alcune tappe in Sicilia orientale: a Belpasso, appunto, a Carlentini, ad Acicatena e a Catania, dove per l’occasione sarà esposto assieme al busto reliquiario di Sant’Agata) alla volta del capoluogo veneto. Un solenne avvenimento di fede per chi crede, un modo per osservare un fenomeno sociale di grande significato per chi non crede. In ogni caso, un avvenimento eccezionale. Basti pensare che santa Lucia torna a Catania millesettecentoventitrè anni dopo per i motivi che vedremo dopo.
Il Corpo di santa Lucia. Tante volte immaginato, mille volte visto attraverso una statua, un dipinto, una immaginetta o qualche passo poetico di Dante o di Garcia Lorca. Quel corpo, come accennato, sarà (anche) a Belpasso, di cui la santa da secoli è Patrona (assieme a Siracusa, a Carlentini, a Savoca e a tantissimi altri posti del mondo, a cominciare dalla Svezia), venerata da un popolo che nel dolore dell’eruzione del 1669 e del terremoto del 1693 (che cancellarono per ben due volte il paese antico), trovò la forza di ricostruire e di ricostruirsi grazie al costante punto di riferimento della Patrona che dall’altare della Chiesa Madre di Malpasso prima e di Fenicia Moncada dopo (i centri che precedettero l’odierna Belpasso) diede la forza alla comunità di risorgere.
Ma adesso che quelle Sacre spoglie sono presenti, non ci sarà la “proiezione” dell’arte a mostrarci quel Corpo “vivo”. Adesso Lucia si vedrà inanimata, ma vera: la testa e il volto coperti da una montatura d’argento, alcune parti scoperte, soprattutto i piedi. Un insieme di ossa o un potente emblema di fede cristiana in cui immanente e trascendente, materia e spirito, diventano un tutt’uno?
Il Corpo di santa Lucia. Martirizzato nel 304 dopo Cristo, sotto l’imperatore Diocleziano, in un’epoca in cui i cristiani erano perseguitati senza pietà: di Gesù doveva essere cancellata ogni traccia per evitare che altri “folli” come Lui mettessero in discussione la violenza con la quale Roma basava la sua potenza. Che non doveva essere scalfita dalle parole d’amore di un umile figlio di falegname che appena tre secoli prima le aveva pronunciate in Palestina, quella potenza non poteva essere annientata dalla più grande rivoluzione della storia, che negli anni di Lucia (all’epoca ventunenne) era pericolosamente in atto: per questo lei e tutti i cristiani dovevano fare la stessa fine: martirizzati o sbranati dai leoni nel Colosseo e nelle tante arene disseminate nell’impero: Sebastiano, Agata, Alfio, Filadelfo, Cirino, Giovanni Battista, Stefano, Agnese, Lorenzo, Barbara, Cosma, Damiano e tanti altri. Ed è bello che questi luoghi della Sicilia orientale – per il profondo significato simbolico che l’evento ricopre – accolgano il Corpo della santa nei giorni del Natale.
Il Corpo di santa Lucia. I capelli, il naso e le labbra. Lineamenti bellissimi emergono dalle opere d’arte. Un volto ovale incorniciato da una cascata di capelli castano chiaro, un naso piccolo, le labbra “pittate” e carnose, lei seduta, con una preziosa corona in testa, il resto del Corpo coperto da un indumento scarlatto con dei simboli dorati.
E gli occhi? Neri, verdi o azzurri? Cosa avranno visto quegli occhi in quei ventun anni di vita? Innanzitutto il sepolcro di Catania dove era seppellita sant’Agata (secondo le fonti, sarebbe stata la martire catanese ad ispirare la conversione della fanciulla), presso il quale Lucia, il 5 febbraio 301, dopo cinquant’anni dal martirio della santa catanese, si era recata con la madre Eutychia gravemente ammalata per chiedere l’intercessione di fare guarire la genitrice (ecco perché adesso, dopo millesettecentoventitré anni, Agata e Lucia si ricongiungono a Catania), ma quegli occhi hanno visto anche le ricchezze della sua casa aristocratica di Siracusa dalla quale la fanciulla proveniva, e i patimenti dei poveri, dei diseredati, degli ammalati cui la ragazza donò i beni e la vita dopo la conversione.
Il Corpo di santa Lucia. E il carattere? Docile, dolce o deciso? O magari tutt’e tre le cose? I documenti, quando si soffermano sulle sante martiri, affermano che al cospetto dei loro giustizieri dicessero spesso di essere “spose in Cristo”, frase che probabilmente dovrebbe essere interpretata per cercare di calare queste vicende nella realtà. E allora non è da escludere che il pensiero fosse: “Sposo il pensiero di Cristo”. Il pensiero potente e universale della pace contrapposto al “pensiero unico” della guerra. Questo il senso che Lucia, magari con altre parole, potrebbe avere espresso al prefetto Pascasio che la giudicava, dopo essere stata denunciata come “cristiana” alle autorità di Roma dall’uomo che la fanciulla aveva rifiutato di sposare. E questo pensiero potrebbe avere ripetuto ai suoi carnefici (il particolare della privazione degli occhi, probabilmente, è una leggenda ricavata dal nome di Lucia, lux, luce): secondo le fonti latine fu finita con un fendente alla gola, secondo quelle greche con la decapitazione, ma le due versioni coincidono nel Seppellimento di Santa Lucia del Caravaggio custodito a Siracusa, dove si vede una profonda ferita nella circonferenza della gola.
Il Corpo di santa Lucia, come il corpo di chi dona la sua vita per gli altri e riesce a dare un contributo al cambiamento della storia assieme a chi si è immolato per un ideale, ieri come oggi.
Il corpo di santa Lucia. Forse è il caso di evitare di guardarlo solo con la retorica del fasto. Adesso c’è l’occasione di sommergerlo col silenzio della Pace.
Luciano Mirone
Post scriptum: non ce ne vogliano i cittadini dei centri nei quali il corpo di santa Lucia è stato e sarà esposto in questi giorni di dicembre, se questo articolo parla soprattutto di Belpasso, ma Belpasso è il luogo dove forte è il nostro legame affettivo e culturale con la Patrona, a partire dalla doppia distruzione che esso – nel giro di soli venticinque anni – subi nel XVII secolo. Non ce ne voglia nessuno se – sicuramente per un nostro limite – non riusciremmo a parlare efficacemente di santa Lucia se dovessimo scindere il binomio tra Lei e questo paese alle pendici dell’Etna.
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