Pippo Anzalone, titolare della pasticceria Gangi di Bronte (Catania), una delle più rinomate della città, attraverso questo articolo inviato a L’Informazione, offre alcuni spunti di riflessione sulla promozione del rinomato pistacchio e sull’organizzazione della Sagra dedicata all’oro verde.

Il pistacchio di Bronte è un prodotto d’eccellenza e per questo è un prodotto di nicchia, d’élite, e non può essere un prodotto di massa. Per tre ordini di motivi.

Il primo: la limitata capacità produttiva, l’area geografica interessata dalla cultivar è ristretta tra i comuni di Bronte ed Adrano, nell’alta valle del Simeto alle falde del vulcano Etna. Il terreno è impervio e non permette la coltura intensiva e la raccolta del prodotto avviene ogni due anni. Il raccolto biennale si attesta su circa l’1% della produzione mondiale.

Il secondo: le proprietà organolettiche dovute al terreno lavico ed al particolare microclima che ne fanno un prodotto unico al mondo.

Il terzo (e non ultimo): gli alti costi di produzione, con quasi tutte le fasi di lavorazione manuali, la limitata produzione spalmata su due anni e l’alta immagine che vanta nel mondo, determina un prezzo di mercato al consumatore finale abbastanza elevato.

Negli anni ’90 alcuni pasticcieri brontesi hanno iniziato a lavorare il pistacchio utilizzandolo per fare la pasta pura per il gelato, la crema spalmabile, il pesto salato per la pasta, le paste di pistacchio. E’ nato l’arancino al pistacchio, il panettone al pistacchio, la torta al pistacchio, ecc. Prodotti promossi e fatti conoscere presso i loro colleghi in tutta Italia, a partire dalla Fiera di settore come la SIGEP di Rimini.

In contemporanea iniziava a fare i primi passi la Sagra del pistacchio, che nel giro di un decennio ha fatto conoscere il pistacchio di Bronte al grande pubblico, al punto che il frutto ha raggiunto una notorietà mondiale, considerato uno dei simboli di eccellenza della produzione agricola siciliana, con tanti tentativi di imitazione in Sicilia e nel mondo.

La Sagra del pistacchio organizzata dalle varie amministrazioni comunali che si sono succedute, ha dato un notevole contributo alla promozione del prodotto, ma siamo sicuri che la manifestazione denominata ‘”Sagra del pistacchio DOP di Bronte’’, così  come è organizzata, serva alla promozione del nostro “oro verde”?

Non sono contro la manifestazione, che anzi ha contribuito alla crescita e non muovo nessuna critica a chi si è prodigato negli anni alla sua organizzazione. Ma credo che sia giunto il momento di porsi alcune domande e di fare una riflessione su questo evento.

Se alla Sagra del pistacchio DOP di Bronte gli stand che propongono il prodotto non raggiungono il numero delle dita di una mano e negli altri spazi si propone pistacchio di varia provenienza, io qualche spunto di riflessione la faccio.

Se io visitatore vengo alla sagra del pistacchio DOP di Bronte e trovo decine di stand che propongono pistacchio di altra origine, io qualche domanda me la pongo.

Se io visitatore vengo alla sagra del pistacchio DOP di Bronte e trovo gli stessi prodotti del supermercato o del mercatino sotto casa, resto deluso perché vengo a Bronte convinto di trovare il pistacchio di Bronte, se trovo altro resto deluso: non è questione di etichetta legalmente corretta ma di aspettativa che viene delusa.

Può un prodotto di eccellenza puntare ad organizzare una manifestazione di massa, sapendo che la massa non si può accontentare per i motivi predetti?

Con i risultati raggiunti nei mercati italiani ed esteri, con l’immagine che il prodotto ha ottenuto tra i consumatori e gli operatori del settore, forse è opportuno un ragionamento tra gli addetti ai lavori al fine di ripensare ad una manifestazione che miri a promuovere il pistacchio tra il gelatiere e pasticciere di eccellenza, tra gli chef stellati, tra gli operatori di mercato ricercati e le casalinghe esigenti.

La Sagra del pistacchio di Bronte, pur essendo una manifestazione importante per flusso di pubblico, non può essere paragonata alla sagra del pani cunzatu o dei maccarruni cu sugu, ma deve mirare ad un pubblico di qualità, se no il rischio è di sminuire l’immagine  del prodotto ed alimentare quella ormai desueta frase “ma stu pistacchiu a Bronti quant’è?”.

Il pistacchio di Bronte rappresenta un richiamo turistico internazionale: decine di turisti giornalmente frequentano i locali della zona alla ricerca del prelibato frutto, rare volte visitano le aziende, non esiste un museo del pistacchio con le varie fasi stagionali di lavorazione, raccolta, se si esclude l’esposizione di qualche vecchio attrezzo all’interno della pinacoteca. 

E poi ci sono le aziende medie e piccole che giornalmente valorizzano il pistacchio di Bronte senza attendere la sagra.

Possono il consorzio di tutela, i  produttori, le aziende di trasformazione, i commercianti demandare la promozione del prodotto alla politica (intesa come amministrazione comunale, ecc.) e collaborare con essa, oppure, come avviene altrove, devono essere gli operatori a chiedere collaborazione alla politica?

La politica, non è un mistero, mira al consenso e quindi alla massa, gli operatori mirano al mercato. Ci vuole un cambio di mentalità, di strategia, bisogna cambiare passo, oggi il pistacchio vanta molteplici tentativi di imitazione, ma l’unico ed originale è il pistacchio di Bronte. Per questo bisogna ragionare.

Pippo Anzalone