Ottocentocinquantasei siciliani hanno sperimentato l’inferno dei lager nazisti con risvolti inimmaginabili. Le loro testimonianze hanno rivelato i lati oscuri anche di persone qualificate che hanno assistito alle violenze, ma non hanno speso una parola.

La Fidapa di Messina ha messo in cantiere un progetto ambizioso per far conoscere agli studenti le storie degli 856 siciliani internati nei lager nazisti. Le storie degli IMI (Internati Militari Italiani) sono drammatiche con risvolti inimmaginabili.                    

La sezione di Mistretta con il suo presidente, avvocato Maria Pia Franco, ha individuato 21 internati e 3 deceduti. Tutti hanno sofferto le pene dell’inferno: fame, freddo, umiliazioni, terrore, malattie, ma i tre che non hanno resistito alla violenza inaudita delle SS, hanno patito persecuzioni fuori dalle regole umane e militari per un gusto sadico e cinico.                                                                             

I tre mistrettesi deceduti, Sebastiano Pettineo, Rosario Catanzaro e Carmelo Scillia, hanno vissuto storie parallele e una fine che rasenta l’incredibile.                                                  Il primo internato è stato Sebastiano Pettineo (1911- 1944), un uomo di 33 anni, sposato con Bettina Cannata, e padre di due bambini, Liria, di due anni e Salvatore, di un anno. E’ un finanziere e fa servizio nella legione di Treviso, precisamente a Vittorio Veneto.

L’8 settembre 1943 lo mette in difficoltà in quanto alcuni colleghi abbandonano il reparto per la presenza dei tedeschi. Sebastiano con altri finanzieri accetta di rimanere in servizio per proteggere la famiglia, ma anche per essere fedele al giuramento fatto.

D’altra parte anche Badoglio da Roma e poi da Napoli invita i tutori dell’ordine a non abbandonare il territorio in quanto si prevede uno sbarco degli alleati a Trieste. Passano i giorni,ma gli aiuti promessi non arrivano, anzi si fa più pressante la ferocia dell’invasore tedesco.

Negli uffici dei vari reparti arrivano messaggi contraddittori, lasciando la bocca amara a tutti i servitori dello Stato, costretti a convivere con il nemico tedesco.

Nel febbraio del 1944 Sebastiano Pettineo è trasferito alla legione di Udine con sede a Polcenico perché l’Alto Friuli è una zona strategica e poi perché si deve limitare la presenza di numerosi contrabbandieri. Preso servizio, il suo pensiero è rivolto ai familiari, lasciati a Vittorio Veneto. In poco tempo si accorge che nella regione circolano numerosi gruppi armati spesso in lotta tra loro: gli uomini della brigata Osoppo, quelli delle brigate garibaldine, i repubblichini, i titini e bande formate da russi e cosacchi.

Il finanziere Pettineo ha la sensazione che possa accadere l’imprevedibile da un momento all’altro. Le vendette e gli scontri si ripetono giorno dopo giorno per il fatto che numerosi delatori, informatori e faccendieri si arricchiscono facendo le spie; dopodiché  essi si dedicano ai traffici illeciti, alle truffe, ai raggiri e ai furti[1].                                                    

Mentre le forze di polizia discutono sul metodo per ripristinare la legalità e la sicurezza, il Cln (Comitato di liberazione nazionale) prepara un attacco contro i tedeschi con l’intento di creare la repubblica della Carnia e dell’Alto Friuli[2].

Per simile operazione necessitano armi e vestiario. Così il 26 giugno alcuni esponenti dei vari gruppi partigiani si presentano alla caserma della finanza, sita nel palazzo Fullini-Zaia, e chiedono tutto il materiale, comprese le divise, che i militari possiedono. I finanzieri, dopo un consulto, decidono di offrire ai partigiani vestiario e armi che hanno in dotazione. Tuttavia, un delatore denunzia il fatto alla polizia tedesca. Il colonnello della legione di Udine, venuto a conoscenza della denunzia, fa rientrare nella caserma di Udine gli uomini di Polcenico.

L’11 luglio 1944 Sebastiano Pettineo scrive l’ultima lettera alla moglie, sostenendo di ricordarlo[3]. Egli non ha la sensazione di essere arrestato ma la certezza. Allora, perché gli uomini  di Polcenico non sono stati trasferiti in un luogo più sicuro?

Infatti, il giorno dopo arrivano i tedeschi e arrestano i finanzieri che si trovavano a Polcenico. Chiusi nel carro bestiame n° 62 dopo due giorni di segregazione in quel vagone, i prigionieri vengono portati a Dacau. I burocrati di quel lager annotano che Sebastiano Pettineo è un prigioniero politico e non di guerra, perciò è  classificato con stella rossa. Con questa immagine è trasferito ad Allach – Monaco, come operaio alla BMW in cui si producono le moto 75 e motori di aerei. Indossa così la tuta blu e  lavora senza sosta. Ma quel simbolo che si porta addosso non è gradito al comandante per cui è spedito a Hersuruck, un sottocampo del lager di Fosserbuerg.

In quel luogo trova tanti ex militari che non hanno nemmeno la forza di parlare. Senza perdere tempo è costretto a rimuovere la terra, far saltare blocchi di granito, spingere vagoncini, trasportare pietre[4]. Stressato dal lavoro forzato, denutrito perché il rancio è fatto di bucce di patate e di brodaglia di verdure, deluso di quel momento storico, la mattina del 21 novembre 1944 entra in un sonno comatoso e affida la sua anima al Signore. 

Rosario Catanzaro, il caporale mistrettese che ha combattuto in Grecia. Sopra: il campo di concentramento nazista di Dachau 

                                                                 

Singolare è anche la storia di Rosario Catanzaro (1921-1945): un caporale che ha combattuto in Grecia. Dopo l’8 settembre aderisce alla Resistenza Passiva. Braccato e arrestato dai tedeschi è trasferito a Dacau. In questo lager è sottoposto a una cura sperimentale che gli procura brividi di febbre. Pur essendo malato, è inviato al Campo della morte di Fullen. Il viaggio in treno e poi a piedi gli procura nausea e vomito. Arrivato nel sottocampo si accorge di essere entrato in una topaia:”Siamo in un ospedale! Siamo in un immondezzaio orribile a vedersi”[5]. In questo luogo, privo di igiene, numerosi medici sperimentano la cura per la T.B.C. sui 1700 internati, non preoccupandosi della continua mortalità. Vi si trovano anche medici italiani tra cui il dottor Francesco Mittica che si adopera a lenire gli affanni dei connazionali, sacrificando la propria vita. Il Vaticano è ha conoscenza di questo lazzaretto e invia pacchi che non giungono a destinazione [6]. La madre di Rosario, Sebastiana Fini, si rivolge alla Croce Rossa Internazionale per avere notizie del figlio. Rosario le risponde in modo laconico: “Sto bene, anzi benissimo”[7]. 

Il 5 aprile 1945, pur essendo malandato e senza forze Rosario si alza dal letto e partecipa all’adunata per il rancio. All’improvviso le SS, i Kapò, i medici spariscono. Gli internati credono di aver ritrovato la libertà. Invece un aereo scende in picchiata e inizia a mitragliare[8]. Una carneficina. Rosario si salva e immagina di poter ritornare a casa.

Arrivano i polacchi e poi gli angloamericani che cercano di salvare chi sta male, togliendoli da quel letamaio che verrà chiuso il 29 giugno 1945. I pazienti sono trasferiti in un ospedale civile. Sennonché Rosario peggiora pur essendo assistito dal domenicano Ettore Accorsi e spira tra le braccia del sacerdote il 29 agosto 1945. 

Un’altra immagine di Rosario Catanzaro

                                    

Il mistrettese Carmelo Scillia (1916-1945) immagina di potersi salvare, collaborando con scienziati e tecnici nel sottocampo di Wien Hinterbul in cui si realizzano fusoliere per aerei e testate delle V2. Viene catturato in Grecia perché facente parte della Resistenza passiva. Passa per Dacau e poi inviato a Wien, in quanto s’intende di meccanica. Dapprima veste una tuta blu e con gli altri ricava dalla dura roccia un tunnel. Quando arrivano scienziati e tecnici indossa una tuta bianca e collabora alla realizzazione di quei terribili ordigni.

Il 31 marzo 1945,viene smantellata l’officina e scienziati e tecnici fuggono, invece le SS iniziano a sparare contro i prigionieri e Carmelo resta nel mucchio. Da queste vicende si evince che la rete dei lager è più articolata di quanto si pensa. Soprattutto i sottocampi sono un inferno per le condizioni di vita pessime e disumane con un alto tasso di mortalità.

Privi di servizi igienici, di un letto, di un cuscino, i prigionieri militari italiani (IMI) sono stati  privati di ogni garanzia giuridica, di ogni possibile soccorso esterno, di ogni controllo sulle loro condizioni fisiche e morali, solo perché non hanno aderito alla Repubblica Sociale. Pertanto, hanno pagato con la vita  il fatto di avere una coscienza e una dignità.                                                                                

Quando qualcuno delle SS, davanti a un tribunale, ha dichiarato di essere un soldato, ha mentito in modo spudorato. Le SS non sono stati  soldati, nemmeno uomini o persone, ma solo Assassini.    

Francesco Cuva

Note

1 CAS, sentenze 1945 del tribunale di Udine.

2  “Il Garibaldino, Sulla via dell’insurrezione,anno I°. n° 4, 30 luglio 1944.

3  Archivio Salvatore Pettineo,Lettera dell’11 luglio 1944.

4  C. N.Streitberger, Ricordate compagni, Franco Cesati Editore, Novara 2017

    Su Fosserberg è stato realizzato un documentario.

5 E.Accorsi,Fullen il campo della morte, Istituto italiano di arti grafiche, Bergamo 1946.

6  Ufficio informazioni per i prigionieri di guerra, Ufficicio Segreto, Città del Vaticano 1939-1947.

7  Famiglia Catanzaro, Lettera del 20 marzo 1945

8  Testimonianza di Francesco Tripodi Il piano di eliminazione, LM Magazine n° 28, 20 gennaio 2014