Diversi i miracoli attribuiti a Sant’Agata. In questo articolo tratto dai due volumi del sacerdote Santo D’Arrigo, “Il martirio di sant’Agata”, raccontiamo quando la Patrona salvò Catania dalla peste e dall’eruzione dell’Etna.

Anno 1575. La peste arriva in Sicilia, probabilmente attraverso una nave carica di mercanzie proveniente dalla Mauritania. Penetrato a Catania, il contagio rischia di dilagare. Allora viene tratto fuori dal suo sacello il sacro corpo della martire.

Si indìce una processione col solo intervento dei magistrati, del clero e dei religiosi. Con pubblico editto si vieta la partecipazione del popolo per scansare il contagio: ma prima che iniziasse il rito, il popolo affluisce gremendo i passaggi all’interno e all’esterno delle mura della città.

Non appena il fercolo dove sono trasportate le sacre reliquie passa la porta delle mura, così detta di Aci, tutti si prostrano a terra, e si ode implorare con pianti, gemiti, lacrime e sospiri la Divina Misericordia.

Giunto il corteo ai due lazzaretti, siti l’uno presso la chiesa di sant’Antonio e l’altro dello Spirito Santo, entrambi strapieni di appestati, tutti costoro miracolosamente guariscono, giacché in quel momento la martire santa, come aura benefica, fugò la lue pestifera.

Tutto ciò il gesuita Francesco Blindizio raccolse dalle attestazioni dei testimoni oculari, che glielo narrarono, e dai documenti allora conservati nell’archivio del Senato della Città: e tutto egli riferì a Giovanni Bollando, che lo registrò interamente negli “Acta Sanctorum”.

Pertanto dal vescovo di Catania, dal collegio dei canonici e dal Senato fu emanato un Decreto, in forza del quale ogni anno al 16 giugno, sul far della notte, si dovevano accendere lungo le vie della città dei grossi fuochi, e dei lumi sulle soglie delle case.

E si stabilì che l’indomani di quel giorno il popolo doveva recarsi in ininterrotto pellegrinaggio al carcere di sant’Agata e che, a conclusione della giornata di suppliche, si portasse solennemente in giro per la città la reliquia del braccio di sant’Agata, così come si trova nella sua teca d’oro.

Anno 1669. Una delle più catastrofiche colate laviche  dell’Etna: l’eruzione esplose dal fianco occidentale del Vulcano ad ovest di Nicolosi. La lava sommerse Mompileri, Massa Annunziata, Malpasso (odierna Belpasso), San Pietro Clarenza, Camporotondo, lambì Mascalucia, travolse Misterbianco: complessivamente 17 paesi e altri villaggi, e il Sabato Santo del 24 marzo era a 300 metri dal Duomo di Catania, ove vennero esposte le reliquie del corpo di sant’Agata, che pertanto in tale occasione furono oggetto di particolare attenzione.

Frattanto il Senato della città, clero, religiosi e popolo procedendo in devota processione, in gemente preghiera e in calde lacrime, di notte, mossero dal Duomo e pervennero alla chiesetta di santa Lucia, sita presso la chiesa dell’Annunziata al Carmine; da qui il corteo procedette fino alla alla grande “Chiesa di sant’Agata la Vetere”, ove giunse a mezzanotte precisa: a quel punto le lacrime di pianto si tramutarono in lacrime di esultanza.

La lava in quel momento cambiò rotta, s’aggirò per le mura occidentali della città e costeggiando il Castello di Federico di Svevia si immerse nel mare.

Nella foto: martirio di sant’Agata di Filippo Paladini

Sac. Santo D’Arrigo (tratto dal libro “Il martirio di sant’Agata”)