Commissario Mario Ravidà, nel corso della prima puntata di questa inchiesta, lei ha raccontato il retroscena gravissimo dell’estromissione dalle indagini sulla cattura di Bernardo Provenzano del Colonnello dei carabinieri Michele Riccio, col quale ha collaborato per diverso tempo. In pratica, lei, poliziotto, che ha vissuto questa vicenda dall’interno della Dia di Catania, accusa pezzi delle istituzioni di non avere voluto catturare il boss corleonese già nella metà degli anni Novanta, quando un mafioso del calibro di Luigi Ilardo, capo della Famiglia di Caltanissetta, confida a Riccio dove si nasconde Provenzano.

“Esattamente. Ma non è tutto, perché il Colonnello Riccio, già estromesso dalle indagini con i pretesti più assurdi, subito dopo viene pure arrestato”.

Il Colonnello dei carabinieri Michele Riccio (oggi Generale). Sopra: Bernardo Provenzano nelle varie versioni fotografiche

Perché?

“Perché dieci anni prima, quando era uno dei responsabili dei Ros di Genova, aveva conosciuto, assieme ad altri investigatori dell’Antidroga, un chimico che riusciva a trasformare la morfina-base in eroina: un personaggio utilizzato dagli investigatori genovesi per sgominare i trafficanti di droga. Questa operazione (con l’avallo dei superiori di Riccio) veniva effettuata, credo, all’interno della caserma. Poi, tramite lo stesso chimico, veniva organizzata la vendita dell’eroina che consentiva di arrestare un sacco di gente. Un escamotage, forse poco legale, ma comunque efficace, per debellare il traffico di droga. Qualche sottufficiale approfittò della cosa e, a insaputa di Riccio e degli altri ufficiali, riuscì a trarre profitto guadagnando un sacco di soldi portati in Svizzera”.

Qual è l’accusa mossa nei confronti di Riccio?

“Credo solo quella di avere consentito la trasformazione della morfina base in eroina dentro la caserma. Allora arrestarono tutti. Ma il fatto singolare è che gli arresti avvennero dieci anni dopo rispetto alle confessioni di Ilardo. Ci fu un’improvvisa accelerazione delle indagini per arrestare Riccio. Che viene messo fuori gioco. Il colonnello, tuttavia, prima dell’arresto, stila un rapporto esplosivo, il rapporto Grande Oriente, dove denuncia la mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso”.

Ok. Ma è importante chiarire cosa avviene prima dell’arresto di Riccio.

“Ilardo (fino ad allora confidente di Riccio) viene convinto a collaborare con la giustizia attraverso una dichiarazione d’intenti; sale a Roma, dove in un ufficio si incontra con lo stesso Riccio, col Generale Mori e con i magistrati Caselli, Tinebra e Principato. In questo incontro, Ilardo ha un comportamento strano: gira la sedia verso Caselli e parla solo con lui, dicendo di essere un appartenente a Cosa nostra e di avere commesso diversi omicidi. ‘Una delle cose più importanti della mia carriera criminale – dice Ilardo a Caselli – l’ho fatta negli anni Settanta, quando ho conosciuto un tale di nome Ghisena, un personaggio calabrese legato ai servizi segreti e alla massoneria, con cui andavo a prelevare dell’esplosivo in una caserma di militari vicino Trapani Birgi; esplosivo servito e utilizzato per commettere diversi attentati in Italia in quel periodo’. A un certo punto Tinebra si alza, ‘si certo, queste cose avremo modo di metterle per iscritto e di chiarirle…”.

L’ex procuratore di Caltanissetta, Giovanni Tinebra

E cosa succede?

“Ilardo, che fa capire di essere depositario di inconfessabili segreti di Stato, viene fatto rientrare a Catania. Dopo qualche giorno viene ucciso. Siamo nel 1996”.

E poco dopo arrestano Riccio, giusto?

“Esatto. E così questa situazione viene neutralizzata. Riccio aveva registrato Ilardo e consegna le bobine ai magistrati palermitani che istruiscono il processo Trattativa”.

Chi uccide Ilardo?

“Nel 2001 conosco un mafioso dopo una perquisizione. Entriamo in confidenza, dato che avevo avuto una disposizione di acquisire notizie confidenziali in quell’ambito. Costui si chiama Eugenio Sturiale, attualmente collaboratore di giustizia. La prima cosa che Sturiale mi dice è che ad uccidere Ilardo sono stati Maurizio Zuccaro e la sua squadra del clan Santapaola. Sturiale – che abitava nei pressi dell’abitazione di Ilardo – era stato testimone oculare del delitto. Successivamente si seppe che in un primo momento l’incarico di uccidere Ilardo l’aveva avuto Aurelio Quattroluni, il nuovo reggente di Cosa nostra a Catania. Quattroluni si oppone: ‘Scusate, ma perché dobbiamo ammazzare ‘u zu Gino?’. Quattroluni aveva delle preoccupazioni, poiché doveva ammazzare il capo di Cosa nostra di Caltanissetta. Improvvisamente viene scavalcato da Maurizio Zuccaro, che nel 1996 esegue l’omicidio”.

Che succede quando lei acquisisce queste notizie da Sturiale?

“Faccio una relazione di servizio in cui indico nomi, cognomi, i partecipanti all’omicidio, perfino le moto e le auto usate. La consegno alla dirigente della Dia di Catania dell’epoca. Quella relazione resta lettera morta per otto mesi, malgrado le mie pressioni (‘Scusate, quello di Ilardo non è un omicidio di mafia, è un omicidio che non si capisce da dove arriva, quindi indaghiamo’). Non fa alcuna indagine d’iniziativa, si limita a mandare in Procura la mia relazione, e la Procura non dà alcuna delega per indagare su questo omicidio”.

Che succede dopo che Sturiale le confida questi retroscena?

“Nel 2011 (dopo dieci anni in cui, da confidente, mi rivela particolari importantissimi su Cosa nostra catanese, puntualmente ignorate dai vertici della Dia, che tengono nel cassetto determinate relazioni), Sturiale passa allo status di pentito. A quel punto lo porto dal magistrato per formalizzare il suo nuovo status”.

Luigi Ilardo. una fonte preziosa sui segreti più inconfessabili di Cosa nostra. Nel 1996 fu ucciso a Catania e contemporaneamente l’ufficiale che aveva raccolto le sue preziose confidenze, il Colonnello dei carabinieri Michele Riccio, fu estromesso dalle indagini e arrestato

Poi si fa il processo agli autori dell’omicidio Ilardo.

“Sì. Vengono condannati pesantemente, ma sono gli appartenenti all’ala militare di Cosa nostra”.

Lei, però, in questa intervista, fa capire che esisterebbero altre responsabilità.

“Sono tutte domande che pongo al magistrato quando porto Sturiale al suo cospetto: e le connessioni istituzionali? Le omissioni? La relazione mandata con otto mesi di ritardo? Le deleghe che non abbiamo avuto dalla Procura? Il magistrato mi tranquillizza dicendo che è stato aperto un fascicolo per accertare eventuali responsabilità istituzionali. Il fascicolo si è chiuso con un nulla di fatto. Ancor oggi mi chiedo: per quale motivo la Dia estromise Riccio dalle indagini? Non c’è una motivazione vera. Lo dimostra il dottore Tuccio Pappalardo, quando, messo alle strette dai magistrati del processo Trattativa (‘Perché avete mandato via Riccio che vi ha fatto fare un sacco di operazioni clamorose?’), risponde: ‘Secondo me, Riccio non era una persona onesta’. Un argomento debole per una storia così grossa”.

Riccio che fa oggi?

“E’ in pensione. Lo sento spesso, ci incontriamo, è rimasta una grande stima reciproca”.

Luciano Mirone

2^ puntata. Continua