Gianni De Luca, da sempre impegnato nel contesto culturale e sociale della vita belpassese, è componente e socio fondatore di diversi gruppi ed associazioni belpassesi, tra le quali Fabula Sicula, ospite all’Expo di Milano con lo spettacolo “Canti, Cunti e storie di Sicilia”. È presidente della Fondazione Carri S. Lucia. Contattato da L’Informazione per un’intervista sul Piano Regolatore ha risposto – a titolo personale – con questo testo.
Belpasso è una città che sanguina. I colpi mortali che le sono stati inflitti negli anni per sventrarne il territorio, il tessuto urbano e, soprattutto, le coscienze, l’hanno resa ormai irriconoscibile; ferite che continuano a sanguinare, un’emorragia interna che, presumo, irreversibile.
Che intervista dovrei rilasciarti, Luciano?
Ormai siamo al capolinea ed è solo il nostro perbenismo di facciata a non consentirci di ammettere l’esistenza del putrido che cova dentro, facendomi pensare ad una battuta del cav. Amore, personaggio de “L’eredità dello zio canonico” del commediografo belpassese Antonino Russo Giusti, che, riferendosi alla sua salute soleva dire: “Di fora sugnu bonu, ma d’intra sugnu tuttu fracitu”.
Non possiamo non dire del travaglio interiore che accusiamo, dovuto ad anni di mal governo, di assenza di educatori, di crisi di alcuni valori tradizionali, di mancanza di lavoro. L’abbiamo subìta la trasformazione antropologica epocale che ancora non vogliamo ammettere, o è venuta da noi stessi e siamo stati noi i veri colpevoli di tutto?
Difficile a dirsi. La disamina non può certo essere sviscerata in queste poche righe.
Spesso accusiamo il potere costituito di mal governo della città facendo il confronto con le realtà a noi vicine. Ma quello che giudichiamo “mal governo” è stato voluto da noi, dalle nostre scelte elettorali. Non sono più i tempi del “fascio” quando il Podestà era nominato direttamente dal partito.
Siamo capaci di fare un’analisi di quella che è stata la politica in questi ultimi trent’anni? O vogliamo nasconderci dietro ad un dito? Mai un progettualità di ampio respiro, a lungo termine, mai una programmazione a 360 gradi. Solo interessi per il proprio orticello, per la propria cordata, per la propria confraternita. Una sorta di politica neroniana che ha soddisfatto tutti, felici e contenti di assistere ai festini di piazza, benedetti anche dalla chiesa.
Certo non si può sempre avere la lungimiranza della classe politico-sociale che tra la fine dell’ottocento, gli inizi del novecento e negli anni cinquanta gettò le basi per una nuova Belpasso, i cui frutti abbiamo potuto raccogliere fino a poco tempo fa. Certo non sempre possiamo avere sacerdoti come padre Vasta.
Il pressapochismo caratterizza ormai da tempo la nostra Belpasso. Se, da un lato si accusa la classe dirigente di inadeguatezza, dall’altro “le intelligenze” locali – salvo poche eccezioni – se ne stanno per i fatti propri badando ai propri interessi o vengono relegate, dall’oligarchia di turno, ai margini della città.
Che intervista dovrei rilasciarti, Luciano?
L’occasione della revisione del piano regolatore è certo una grande opportunità che ha rimesso in moto qualche coscienza. Si iniziano a delineare diverse posizioni e ad esprimere autorevoli interventi. La mia speranza è che siano in tanti a far sentire la propria voce, ad esprimere le proprie idee; come avvenne alcuni anni or sono sulla questione dell’autonomia di Piano Tavola.
La tematica del PRG è talmente vasta, complessa e, soprattutto, fondante per il destino della Belpasso dei prossimi decenni, che non può essere ridotta ai soli atti formali, salvo a voler prendere esempio da don Ferrante che attribuiva il diffondersi della peste all’influenza degli astri.
Penso che ormai i danni irreparabili per Belpasso siano tanti, non c’è più “il paese dell’anima”, come giustamente tu stesso scrivevi tempo addietro; adesso si tratta di salvare il salvabile.
Io sono molto pessimista al riguardo, anche se nel mio piccolo continuo a dare il mio modesto contributo per questa città.
Come fanno tanti altri belpassesi, impegnati nel variegato mondo dell’associazionismo locale che, se da un lato persegue le proprie finalità statutarie, dall’altro non produce veri frutti per il bene comune, non riuscendo a coordinarsi e a legarsi in un progetto univoco. Ognuno per la sua strada, in questo paese dal dualismo sfrenato e incontrastato.
Come fanno decine di micro attività commerciali che tra mille difficoltà quotidiane, tengono ancora viva una certa economia locale, che a stento tenta di reggere l’urto dei mega centri commerciali. Noi a Belpasso abbiamo perso –o forse ci è stato rubato – anche “il tempo” ed andiamo a cercarlo nei centri commerciali che sono diventati “città del tempo ritrovato”.
Che intervista dovrei fare, Luciano?
Belpasso diventerà la città dei fantasmi se non si interviene con la giusta lungimiranza nella revisione urbanistica di tutta la scacchiera. Già da molti anni interi isolati sono disabitati e le vecchie case cadono a pezzi. E poi mille e mille problemi mai risolti, se non addirittura mai affrontati, che potrebbero essere circoscritti e definiti all’interno del PRG.
Per questo oggi, a mio avviso, la politica non si può limitare a dare grandi linee generali per la revisione del Prg. Deve delineare in modo specifico quella revisione, deve mettere dei paletti dai quali non si potrà più prescindere, deve dire chiaramente quale città vogliamo costruire per i nostri nipoti. Poi saranno i tecnici a far diventare operativa “tecnicamente”, appunto, la revisione del Prg. Ma ciò che deve essere la revisione lo deve dire la politica, e lo deve dire oggi, deve dire chiaramente se il paese si sposterà verso i villaggi o se i villaggi si sposteranno verso il paese, tanto per fare un esempio concreto. Deve dire se vogliamo andare verso un’economia turistica, o del terziario, o mantenere ciò che resta della cosiddetta economia “della piana”. Per tutto ciò si devono prendere delle decisioni adesso, per l’appunto, indicando nel Prg tutto ciò che a queste decisioni serve. Indicando foglio e particella.
Io continuo ad essere pessimista, non credo che ci riusciremo, ma come diceva il dottor Rieux ne “La peste” di Camus – davanti alla città flagellata dalla peste – bisognerebbe che l’uomo si unisca all’altro uomo per combattere il male abbattutosi sulla città e salvare il salvabile.
Sia la politica, dunque, a riunire le forze migliori della città (tutte, indistintamente), ad aprire un ampio dibattito coinvolgendo le associazioni, chi opera nel territorio, gli uomini di cultura, i giovani universitari, il mondo della scuola, le forze economiche, i tecnici. Sia ancora la politica ad ascoltare le istanze, ad elaborare un progetto per Belpasso ed essere artefice d’un colpo d’ala della tanto bistrattata fenice, affinché si possa un giorno volare in alto, in quell’ “orizzonte umano sconfinato” tanto agognato dal professore Peppino Sambataro, non dimenticando soprattutto che “l’individuo nasce nel paese che esisteva prima di lui e che, gradualmente, diviene patria, luogo pieno di ricordi, in cui si vive le vita… percorsi e luoghi si trasformano in ricordi, il tempo e lo spazio diventano la storia della sua esistenza”.
Alla fine resta ferma solo una domanda: quale storia stiamo scrivendo oggi? Quale storia vogliamo scrivere?
Scusami Luciano, per queste poche righe e, specialmente, se tra di esse sono riemersi sprazzi di memoria riguardanti tutte quelle “minchionerie” per le quali lottavo quando avevo vent’anni, ma “a vent’anni si è stupidi davvero…”, come cantava a quell’epoca Guccini.
Complimenti