Malta. Lo scenario è da incubo. Lo abbiamo scritto un anno fa e lo riscriviamo oggi, a trecentosessantacinque giorni da quel terribile 16 ottobre, quando un’auto imbottita di tritolo ha fatto a pezzi la vita della giornalista Daphne Caruana Galizia.
Lo scenario è da incubo, senza ombra di dubbio, perché in un anno le indagini non registrano passi avanti. Hanno sì arrestato alcuni uomini ritenuti “coinvolti nell’esecuzione del delitto”, ma sui possibili mandanti il silenzio è assordante. Come quello che il pomeriggio di un anno fa avvolgeva quest’Isola un tempo definita “dolce” dai greci per la grande produzione di miele. Un silenzio improvvisamente squassato da una carica di tritolo che per un periodo ha fatto aprire gli occhi a parecchia gente, ma che col tempo ha avviluppato nuovamente l’isola in quella bolla di impotenza e di rassegnazione prodotta da una polizia e da una magistratura che sulla morte di Daphne Caruana Galizia, secondo molti, non vogliono indagare. Semplicemente perché la giornalista aveva denunciato gli scandali in cui da tempo sarebbero coinvolti i più alti rappresentanti istituzionali dell’Isola in presunti collegamenti con la mafia e con la politica di mezzo mondo.
Sì, lo scenario è da incubo se pensiamo che appena mezz’ora prima di essere uccisa, la cronista scriveva: “Ci sono criminali ovunque si guardi adesso, la situazione è disperata”.
Gli arresti effettuati in questi trecentosessantacinque giorni sono solo la punta di un immenso iceberg sommerso da un mare di bugie e di omissioni, almeno secondo quei pochi giornalisti maltesi e non che seguono seriamente la vicenda.
Che la situazione sia da incubo lo hanno confermato i sette europarlamentari arrivati in missione a Malta dopo l’assassinio della Galizia, tornati sconfortati a Bruxelles per aver avuto “la percezione dell’impunità” (secondo quanto hanno dichiarato al Guardian). La percezione… certo.
Troppo poco, se si pensa che per indagare sull’omicidio della giornalista si è scomodata addirittura l’Fbi, col supporto delle polizie olandesi e finlandesi: evidentemente gli investigatori maltesi non vengono ritenuti all’altezza per portare avanti delle ricerche delicate come queste, non solo per incompetenza, ma soprattutto per delle incompatibilità pazzesche che riguardano alcuni settori della magistratura e della polizia, legati a doppio filo col governo maltese destinatario delle denunce della giornalista uccisa.
E dopo l’Fbi si è scomodata anche la polizia europea, con tanto di dichiarazioni del presidente dell’Ue, il berlusconiano Antonio Tajani, che parlava di libertà di informazione e di democrazia.
Basta vedere che attualmente Malta è al centro di interessi colossali per tangenti, rapporti con la mafia, riciclaggio di danaro sporco, mega appalti come il gasdotto Tap (con diramazioni italiane), commercio clandestino di petrolio con la Libia (con il coinvolgimento del clan catanese Santapaola-Ercolano), traffico di droga, casinò online, insomma un colossale giro di soldi che vede il più piccolo Stato dell’Unione europea al centro degli affari più illeciti.
E anche se l’inchiesta per la morte di Daphne Caruana Galizia – come spiegano Carlo Bonini e Giuliano Foschini di Repubblica – ci consegna tre presunti “attentatori”, non convince per niente perché, come detto, non ci consegna i mandanti. A meno che non si voglia credere che dietro a un delitto del genere – per il personaggio e per la dirompenza di un atto dimostrativo come questo – non ci siano “menti” ad alto livello in grado di dare ordini ad un braccio armato che sa usare e gestire il tritolo.
“Per togliere di mezzo Caruana Galizia – scriveva un anno fa Giuseppe Pipitone sul Fatto quotidiano – gli assassini hanno trasformato in autobomba il veicolo che la giornalista aveva preso a noleggio. Una strage compiuta in pieno giorno che somiglia da vicino agli eccidi targati Cosa nostra degli anni ’80 e ’90”.
“Per ammazzare la giornalista maltese – seguitava il giornalista – è stato utilizzato un particolare tipo di esplosivo al plastico, il Semtex, molto difficile da reperire a Malta: in passato è stato usato in una delle stragi più oscure della storia italiana, quella di via d’Amelio, a Palermo, dove il 19 luglio del 1992 venne ucciso il giudice Paolo Borsellino”.
Per questa ragione quello contro Daphne Caruana Galizia non è un attentato come tanti altri. Ecco perché l’Europa e il mondo hanno due doveri fondamentali: svolgere delle indagini serie. Per fare emergere quel gigantesco iceberg ancora sommerso dalle acque limacciose degli interessi sporchi; imporre a Malta – componente dell’Unione europea – il rispetto dello Stato di diritto, condizione che in tante occasioni è stata mortificata da una classe politica che sconosce il significato del concetto di “questione morale”.
Il problema è che dopo quel terribile boato che ha sconvolto la tranquillità dell’Isola, l’Ue ha fatto ben poco per riportare la legalità in questa piccola Isola che dista dall’Italia solo ottanta chilometri. Troppa gente coinvolta e per giunta troppo in alto. Non solo a Malta.
Luciano Mirone
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