Ing. Bisignani, quale direzione deve prendere Belpasso?
“Belpasso ha un’identità molto forte all’interno della provincia catanese. Possiede un territorio vastissimo che non ha mai voluto sfruttare. È stato sempre un centro molto ricco che ha vissuto di campagna, ha avuto tante banche dove il grano veniva trasformato in denaro. Belpasso a un certo punto decise di cambiare rotta: la crisi dell’agricoltura ha portato a ‘svendere’ molti terreni, diverse aree sono state abbandonate. Nel frattempo le attività industriali e artigianali (soprattutto nella zona di Piano Tavola) cominciavano a ‘pressare’ proprio in quei territori. Allora Belpasso ha invertito la rotta. Fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del Duemila, qualche imprenditore ha pensato di utilizzare un’ampia porzione di territorio (definito ‘commerciale’ dal Piano regolatore redatto dall’arch. Lima) per realizzare una struttura commerciale”.
Etnapolis, giusto?
“Su questo c’è sempre stato un equivoco: molti dicono che per costruire Etnapolis è stata fatta una variante. Non è così. E’ stato il Piano regolatore del ’93 a definire ‘commerciale’ quella zona”.
E allora la variante perché fu fatta?
“Per alzare i capannoni di un metro”.
Quindi fu l’architetto Lima, fin dal ’93, ad indicare quella zona come “commerciale”?
“Certo. All’epoca gli imprenditori acquistarono i terreni del principe Borghese (proprietario di quei feudi, ndr) quando ormai questi erano commerciali, pagandoli poco, perché il principe aveva sottovalutato la valenza di quelle aree. L’imprenditore fiutò l’affare e ci si buttò a capofitto. Soltanto la fortuita condizione di diversi interessi hanno fatto sì che sorgesse Etnapolis, che oggi tutti indicano come il ‘male’ del commercio belpassese”.
Etnapolis è stata progettata dal grande architetto Fuksas?
“Fuksas ha fatto la direzione artistica e la progettazione preliminare. Il progetto esecutivo è stato realizzato in parte dai Fichera, in parte da me”.
Lei non pensa che Etnapolis abbia danneggiato il commercio locale e al tempo stesso abbia contribuito alla “desertificazione” sociale di Belpasso?
“Etnapolis avrebbe potuto essere negativa, se fosse stata l’unica attività commerciale del comprensorio”.
Cioè?
“Con una struttura lunga un chilometro e 400 metri, larga 100 metri; con 60,70, 100mila presenze al giorno, e 7mila posti auto, chi va a comprare a Belpasso? Si verifica anche il fenomeno che i ragazzi, da Belpasso, si spostino ad Etnapolis. Ma attenzione: se oggi abbiamo Centro Sicilia, Porte di Catania e tanti altri centri commerciali, secondo voi le persone dove sarebbero andate?”
Dove? Lo dica lei.
“Negli altri centri commerciali. Etnapolis avrebbe rappresentato una negatività se fosse stata ‘solo’ un fenomeno belpassese, ma siccome è un fenomeno generalizzato, meno male che è stata realizzata: ne sta beneficiando la collettività belpassese tramite il pagamento dell’Ici e della spazzatura”.
L’area commerciale di Belpasso fino a dove si estende?
“E’ il doppio di quella che vediamo e si estende nei vecchi terreni del principe. Non a caso le Direttive generali si pongono il problema di vincolare queste zone evitando il fenomeno del grande commercio che in quelle superfici diventa pressante. Abbiamo detto ai consiglieri di inserire nelle Direttive una clausola: niente più commercio per le grandi strutture di vendita”.
Certo, grandi strutture di vendita no, anche perché non avrebbe senso costruirne altre. Ma che senso ha definire “commerciale” una zona inserita in un territorio da sempre vocato all’agricoltura. Non si rischia di fare una seconda Misterbianco (dove ormai la zona commerciale si è svuotata)?
“Questo può dirlo esclusivamente chi non conosce le problematiche urbanistiche”.
Perché?
“Prendiamo il commendatore Abate (imprenditore e realizzatore di Etnapolis, ndr), il quale aveva il capannone per farsi il piccolo centro commerciale, prima abusivo, poi sanato. Il commendatore Abate, per poter fare una operazione che gli portasse tanti soldi, doveva fare un centro commerciale di ampio respiro, Etnapolis appunto”.
E allora quale deve essere il destino di quella zona?
“Deve essere deciso quando si redige il Prg da chi vuol dare un nuovo significato alla città”.
Ovvero?
“Ricordate il Centro fieristico che doveva sorgere sulle aree commerciali di quel territorio?”.
Se n’è parlato mentre era sindaco Papale. E’ stato lui, assieme all’ex governatore della Regione Raffaele Lombardo, a lanciare l’idea durante una convention politica.
“Un centro fieristico che permetta di dare al cittadino dei servizi superiori, come la stazione di Valcorrente che domani diventerà metropolitana. Perché Belpasso non può utilizzare quelle aree per lo smistamento e lo scambio intermodale?”.
Perché pensare a quell’area come zona commerciale (dato che si parla insistentemente di Centro fieristico), e ad un riutilizzo dell’agricoltura di eccellenza, del turismo, delle biodiversità, al ripristino delle vecchie masserie e delle linee ferroviarie dismesse, come sta avvenendo nella Valle del Simeto, dove la popolazione di ben dodici comuni si sta organizzando per valorizzare quei territori? Quello è uno dei paesaggi agricoli più belli della Sicilia. Perché non ripensare ad altro?
“Potrebbe essere interessante l’idea di un’agricoltura evoluta e finalizzata ad un prodotto diversificato che renda anche economicamente”.
In quel contesto, un Centro fieristico non sarebbe invasivo dal punto di vista ambientale, come lo è stato Etnapolis?
“Deve dirlo la politica”.
E allora quei territori di incomparabile bellezza che fine faranno?
“Potrebbero essere utilizzati per tante destinazioni. Si trovano al centro della strada statale 121, in un luogo di margine della città di Catania non imbrigliata nel sistema del caos, e a un passo dalla ferrovia circumetnea”.
Quindi una zona da valorizzare sul piano turistico anche per la presenza di importanti testimonianze storiche e archeologiche?
“Certamente. C’è l’Acquedotto romano, i resti di Fenicia Moncada (rovinati sì, ma con delle testimonianze significative) e tanto altro. Si può fare il turismo diffuso ed un rafforzamento del commerciale, ma…”.
Ma?
“Se lo vuole la collettività. Se il sistema commerciale non ce la fa più, conviene ragionare su altre ipotesi”.
Cioè?
“Turismo, agricoltura evoluta, musei all’aperto, Open art museum inseriti nel contesto dell’Etna e del Simeto. Ma questo non lo inventa l’urbanista, lo stabilisce la città”.
14^ Puntata. Continua
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