Non sappiamo se la revoca della scorta ad uno dei più grandi giornalisti d’inchiesta sulle mafie come Sandro Ruotolo – minacciato da un boss della Camorra come Michele Zagaria – sia la prova generale per ripetere questa decisione nei confronti di Roberto Saviano. Fatto sta che il ministro dell’Interno Matteo Salvini lo ha promesso, e il suo elettorato, recentemente, durante un comizio ad Afragola – terra di camorra fra le più violente del pianeta – ha lo invocato: “Togligli la scorta, togligli la scorta…”, dimostrando che la demonizzazione di un giornalista a rischio come Saviano funziona benissimo come la demonizzazione dei migranti. Ce ne vorrà di coraggio per togliere la scorta a Roberto, ma intanto si saggia il terreno, si osserva la reazione dell’opinione pubblica, si studiano le prossime mosse. Perché?
Togliere la scorta a un giornalista come Ruotolo, o attaccare ogni giorno Saviano, significa lanciare segnali alle mafie, che colgono. E votano… Ieri per Andreotti, poi per Berlusconi, oggi chissà.
Ruotolo e Saviano sono la punta di diamante di un giornalismo investigativo che in un Paese come l’Italia – al settantottesimo posto al mondo per libertà di informazione – svolge il proprio lavoro con la schiena dritta e senza riguardi per i potenti. Togliere la scorta ad uno e insultare quotidianamente l’altro significa esporli, intimidirli, tentare di ridurli al silenzio attraverso il potere immenso di cui un ministro dell’Interno dispone. Si potrà obiettare che soprattutto Saviano – ma anche Ruotolo con le sue inchieste – scrive delle cose che a Salvini non piacciono. Sarà, ma il compito di un giornalista è quello di criticare i potenti e di essere il loro cane da guardia. E i potenti ne devono prendere atto mantenendo un atteggiamento sobrio e adeguato al loro ruolo.
Vendicarsi o minacciare di farlo mediante l’eliminazione della scorta è un pessimo segnale per i destinatari, per la categoria dei giornalisti e per l’opinione pubblica. Ruotolo ha già annunciato che in certi luoghi della Campania non metterà più piede. E già questo è un fatto gravissimo. Ma immaginiamo un cronista meno importante di lui, intenzionato a fare il proprio dovere, ma impossibilitato a farlo per il clima irrespirabile che si avverte nelle regioni occupate militarmente dalle mafie. Cosa fa? Si adegua? E se non si adegua, come gli finisce? In Sicilia otto giornalisti sono stati uccisi da Cosa nostra per avere fatto il loro dovere, in Campania ne è stato ucciso uno, ma ormai sono decine e decine quelli che subiscono minacce ed intimidazioni di ogni tipo. Un ministro dell’Interno ha il dovere di prenderne atto, non di prendere provvedimenti che hanno il sapore di “colpirne uno per educarne cento”.
E però, per restare in tema, diciamo con altrettanta franchezza che ci sembra alquanto stucchevole la polemica innescata dall’ex ministro della Giustizia Andrea Orlando (Pd) contro Salvini per il provvedimento adottato. Scusi signor ex ministro Orlando: ci sbagliamo o è stato il suo governo a revocare la scorta ad un’altra personalità ad altissimo rischio come Antonio Ingroia? Ci sbagliamo o è stata la sua maggioranza in Commissione parlamentare antimafia ad ammugghiare un caso complesso come quello dell’urologo Attilio Manca con una ricostruzione talmente arbitraria da rasentare lo scandalo, pur di non pronunciare una parola impronunciabile come “trattativa”?
Luciano Mirone
Lascia un commento...