Rosolino Amico fa il muratore a Belpasso, dal 1995 è disoccupato, e scrive canzoni bellissime. Qualcuno che di musica se ne intende lo paragona a De André, a Guccini, a Bennato, a Branduardi, ai grandi esponenti del cantautorato italiano, e però Rosolino non è uno importante.
Ha cinquantacinque anni, continua a fare il disoccupato, canta in chiesa, assiste qualche vecchietto, fa la vita di provincia: la passeggiata nella via principale, il caffè al bar, l’appuntamento in parrocchia: un tipo “normale” che non porta orecchini, non ha tatuaggi, non è palestrato, non è rifatto, non indossa jeans strappati, non dice parolacce, non usa parole difficili. Due cattive abitudini però le ha: non lecca il deretano ai potenti e si rivolge agli altri con l’umiltà e l’educazione dei ragazzi vecchio stampo, Per-favore-Per-cortesia-Grazie-Scusa-il-disturbo…
E questo nell’era della TV spazzatura non è ammissibile, non fa appeal, non fa immagine. Se poi in una delle sue canzoni confessa candidamente che una volta perse la testa per una ragazza-copertina (erano gli anni Novanta, la ragazza era Claudia Koll), capirete che ci troviamo al cospetto di un personaggio che nella sua semplicità rompe gli schemi e i luoghi comuni. Ma gli schemi e i luoghi comuni li sgretola definitivamente quando, in un’altra canzone, dice che “non sono le lucciole che illuminano la notte, ma il fuoco dell’artiglieria, non è il colore che scorre sull’asfalto, ma il sangue degli innocenti”.
Da allora abbiamo continuato a incontrarci in piazza o a qualche evento culturale organizzato da me (al quale ha sempre partecipato stando, ovviamente, nelle ultime file). Qualche mese fa mi dice: “Sto organizzando un concerto al teatro comunale di Belpasso. Faresti il presentatore?”. Un concerto? E con quali canzoni? “Con le mie”. Con le tue? Ma allora ne hai fatte tante… “Certo, se vuoi te le faccio ascoltare”. No, facciamo il concerto…
E se quelle canzoni sono brutte, che succede alla mia immagine? Il bravo presentatore, quello “professionale”, quello con la voce impostata, quello che in una frase in italiano inserisce almeno tre parole in inglese, tutte queste domande – giustamente – se le pone, ma uno che non è bravo, che non è professionale, che non ha la voce impostata e che cerca di parlare correttamente solo in italiano, di domande cerca di porsene altre: per esempio come contribuire alla realizzazione artistica di una persona che sogna a occhi aperti di suonare nel teatro della sua città. Oppure come rompere il muro del lascia-perdere e del chi-te-lo-fa-fare che contraddistingue certi contesti. Già come? Comportandosi esattamente all’opposto del “pensiero unico” che contraddistingue certa sottocultura paesana.
Per raggiungere l’obiettivo – ho detto – non devo ascoltare le canzoni di Rosolino, devo evitare – in caso di scarso gradimento – condizionamenti che potrebbero farmi arretrare. E io non voglio arretrare.
Appuntamento dunque alle prove generali tenutesi all’interno del teatro due ore prima del concerto: i brani li voglio conoscere solo in quel momento. Arrivo in ritardo. Improvvisamente vengo avvolto e travolto da un incredibile tsunami di musica, di ritmo, di colori, di energie, di luci.
Sul palco non vedo il solito Rosolino, ma – scusate la retorica – un’aquila che vola, un leone che ruggisce, un poeta accompagnato da una formidabile band composta da musicisti locali (questo per dire…le potenzialità di Belpasso) – Nuccio Corallo (chitarra), Domenico Longo (tastiere e fisarmonica), Marylin (violino), Elia Prosperi (batteria), Giuseppe Magrì (basso), Annamaria Zappulla (voce) – che hanno avuto la mia stessa idea: “Agevolare il cammino artistico di Rosolino dandogli un opportunità, dopo le tante che ha perso”. E siccome è una festa organizzata in suo onore, nell’intervista che gli faccio nel corso dello spettacolo, non approfondisco. E neanche quando il sindaco Daniele Motta, prendendo la parola, afferma: “La concessione del teatro era un atto dovuto, dopo le traversie che Rosolino ha vissuto”. Neanche in questo caso vado oltre. È una festa, con suoi i sorrisi, le sue battute, i suoi applausi, la sua musica che fa correre più di un brivido al numeroso pubblico presente, una festa da non contaminare con altro.
Oltre al sindaco, prendono la parola il consigliere comunale Massimo Condorelli (che traccia i trascorsi musicali di Rosolino) e l’amico inseparabile Pasquale Campisi che racconta di quella volta a Milano, “quando accompagnai Rosolino per un’audizione. Allora, per la felicità, si mise a correre per tutta la città ed io fui costretto ad inseguirlo”. Risate ed applausi a scena aperta. Non è un un addio, ma un arrivederci. Su questo e su altri palchi.
Luciano Mirone
UN SUCCESSO DI MUSICA ED EMOZIONI. BRAVO LINO!
AD MAJORA SEMPER.