Ricordo i lunedì di Pasqua trascorsi con Sebastiano Tusa nell’alloggio della Sovrintendenza di Selinunte, quando capo dell’ente era il padre Vincenzo, che all’inizio degli anni Ottanta si era battuto per istituire il parco archeologico di quel meraviglioso lembo di Sicilia colonizzato dai greci.
Ricordo i discorsi fra Vincenzo e mio padre sulla Catania degli anni Quaranta e Cinquanta, gli anni della loro giovinezza trascorsa all’Università. Vincenzo Tusa, mistrettese d’origine, era innamorato della Catania dei primi decenni del Novecento, caratterizzata dalla presenza di Verga, di Capuana, di De Roberto, di Martoglio, di Giovanni Grasso, di Angelo Musco, di Brancati e di Patti, era affascinato della parlata, dell’allegria, del modo di essere dei catanesi, di cui imitava perfettamente tutto, e così fra un aneddoto e l’altro, sottovoce, per non farsi sentire dalle donne – la moglie Aldina, archeologa anche lei, che parlava di Tucidide con una semplicità sbalorditiva, come se stesse parlando del vicino di casa, e mia madre – diceva a mio padre: “Colonnello, ma lei ‘u sapi come è morto Angelo Musco?”. U sacciu, u sacciu. Tanto per dire come a Catania, eros e thanatos, sono quasi sempre in sintonia, assieme ovviamente all’ironia.
Sebastiano – nato nella parte occidentale dell’Isola – sorrideva sornione, lasciava parlare i grandi e ogni tanto, quando qualcuno lo interpellava, diceva la sua. Come vanno le ricerche archeologiche?
Solo allora, con la sobrietà che lo ha sempre contraddistinto, parlava delle navi rinvenute al largo delle Isole Egadi, nello specchio di mare fra Levanzo, Favignana e Marettimo, dove il 10 marzo del 241 avanti Cristo si svolse la famosa battaglia navale fra romani e cartaginesi, vinta dai primi comandati da Gaio Lutazio Catulo. Il giovane Tusa raccontava e noi lo ascoltavamo in religioso silenzio. Trecento navi da battaglia, cinquanta affondate, settanta catturate, diecimila prigionieri. Un racconto affascinante, che lui alternava con quelli del padre, che parlava delle vicine Cave di Cusa, nelle quali gli antichi greci estraevano la pietra per erigere i magnifici templi che si vedevano dalla finestra della Sovrintendenza, del carattere arabo dei siciliani occidentali, anche se alla fine Vincenzo, sempre sorridente durante tutte queste discussioni, si rivolgeva a mio padre insistendo: “Colonnello, ma allora mu dici come è morto Musco?”.
A fine pranzo si usciva per fare una passeggiata nel magnifico parco archeologico immerso nella natura e confinante col mare. Vincenzo, grande comunista, raccontò di quella volta in cui a Selinunte arrivò Indro Montanelli, anti comunista convinto: “Quando lo ricevetti come prima cosa mi disse: ‘Mi meraviglio come una persona intelligente come lei sia comunista’. ‘E io, dottor Montanelli, mi meraviglio come una persona intelligente come lei non lo sia”.
Il sole era quasi al tramonto quando a Sebastiano – archeologo da poco tempo – parlammo di un amico che in una zona fra Trapani e Marsala aveva scoperto dei resti che potevano essere interessanti. Un’altra persona, probabilmente, avrebbe snobbato questa cosa. Sebastiano drizzò le orecchie: “Me lo fate conoscere?”. Pochi giorni dopo era sul posto per dirigere la prima campagna di scavi.
Ci rivedevamo spesso alla Settimana delle Egadi, lui nel frattempo affermatosi – malgrado la giovane età – nel campo dell’archeologia subacquea, io giovane cronista inviato a Favignana dal Giornale di Sicilia. “Sai che la soffiata del tuo amico si rivelata preziosa?”.
Poi ci trasferimmo da Trapani e lo persi di vista, anche se ogni tanto mi recavo a Palermo per intervistarlo presso la Sovrintendenza del Mare che lui aveva fondato e che dirigeva straordinariamente. Adesso, da poco tempo, era diventato assessore ai Beni culturali della Regione Sicilia, voluto dal governatore Nello Musumeci, per la sua grande competenza in quel settore, malgrado la non comune appartenenza politica.
Recentemente – assieme all’architetto Gianni Laudani, direttore della Casa Museo di Catania – si era pensato di invitarlo nel capoluogo etneo in occasione della presentazione de “Il set delle meraviglie”, il libro che ho scritto sui film celebri girati in Sicilia. Non ce ne è stato il tempo.
Oggi 10 marzo – lo stesso giorno della mitica battaglia delle Egadi – la vita di Sebastiano è finita assieme ad altre centocinquantasei vite presenti su un aereo di linea schiantatosi nel suolo etiope poco dopo il decollo. Mancherà alla Sicilia, e non solo.
Luciano Mirone
Non esistono parole…prorompono i ricordi!
Un bellissimo ricordo. Mi dispiace tanto.
Ancora prima di scrivere questo commento, mi son fatto forza a leggere questo bel ricordo e attestato di stima nei confronti del Caro Amico Sebastiano…la nostra conoscenza trentennale, consolidatasi nel tempo, era come un bel rapporto fraterno di cordiale stima, identità di vedute su moltissime tematiche archeologiche e non, di intesa, di fiducia e affetto reciproci. Non riesco ancora a capacitarmi, a distanza di più di un mese da quella orribile sciagura, di averLo perso (confesso che ho non poche difficoltà ad adoperare il termine “perdita” riferendomi a Sebastiano) in questo modo ingiusto, incomprensibile e inaspettato. Riconosco, nel profilo pscicologico tracciato, proprio la sua intelligenza, competenza e alto senso del dovere, che Egli scientemente impiegava per l’avanzamento delle conoscenze, per la crescita culturale di noi tutti (Cultura italiana in generale e mondiale), siciliani in primis…