“Mi hanno avvelenata” avrebbe detto parlando al telefono sia col fratello sia all’avvocato durante il lungo ricovero. Imane Fadil è morta l’1 marzo scorso, dopo un mese di agonia all’ospedale Humanitas di Milano. Aveva 34 anni, era una modella marocchina ed era un testimone chiave nei processi Ruby che vede tra gli imputati Silvio Berlusconi.
La giovane è morta per un “mix di sostanze radioattive”, secondo quanto emerge dagli esiti degli esami tossicologici disposti dopo il decesso, fanno sapere fonti qualificate. Perché sulla vicenda indaga per omicidio la procura di Milano che ha saputo della morte di Imane “solo la scorsa settimana” quando il difensore della modella si è rivolto alla magistratura che indaga per omicidio volontario.
Secondo il procuratore capo di Milano Francesco Greco nella cartella clinica della ragazza ci sono “più anomalie”. La 34enne aveva riferito di gonfiori e dolori al ventre. “Dalla cartella clinica non emerge nessuna malattia specifica”, ha poi aggiunto il procuratore capo spiegando che la modella aveva “telefonato ad alcune persone, il fratello e l’avvocato, sostenendo di essere stata avvelenata. Stiamo sentendo i testimoni, verranno sentiti anche i medici dell’Humanitas, e abbiamo disposto l’acquisizione dei suoi oggetti personali”. Durante il ricovero della giovane “c’è stato il progressivo cedimento di tutti gli organi”, ha svelato il procuratore aggiunto di Milano, Tiziana Siciliano, titolare del fascicolo per omicidio volontario. Fascicolo aperto la scorsa settimana, dopo la denuncia del legale della giovane modella che lo scorso 14 gennaio non è stata ammessa come parte civile nel processo Ruby ter. “I medici della clinica non hanno avvisato la procura del decesso”, ha confermato il procuratore aggiunto. La salma è a disposizione dell’autorità giudiziaria per l’autopsia che sarà eseguita nei prossimi giorni.
Nella sua ultima intervista, lo scorso 14 gennaio, davanti alle telecamere di Repubblica tv, la giovane aveva detto: “Tutto questo è iniziato quando avevo 25 anni e oggi ne ho 34. In nove anni sono sempre stata lineare, ho sempre detto la verità al contrario degli altri e ho respinto tantissimi tentativi di corruzione da parte di Silvio Berlusconi e di tutto il suo entourage”. Fu allora che i giudici di Milano respinsero la sua richiesta di essere parte civile nel processo Ruby ter.
Nell’ultima sua apparizione in tribunale, Imane sosteneva che “per ciò che succedeva ad Arcore noi abbiamo pagato più di tutte le altre, quelle che hanno deciso di farsi corrompere”. La ragazza era pronta a pubblicare un libro sulla sua storia. “Prima o poi tutti lo vedranno, prima o poi sarà pubblicato. Ho fiducia nella giustizia italiana e ho fiducia nel fatto che le cose stiano cambiando”, aveva sottolineato Fadil. Secondo il procuratore capo di Milano, il brogliaccio del libro non contiene elementi utili per spiegare il suo decesso.
In una nota, Humanitas ha precisato che “al decesso della paziente, il 1 marzo scorso, l’Autorità Giudiziaria ha disposto il sequestro di tutta la documentazione clinica e della salma. Il 6 marzo, l’ospedale ha avuto gli esiti tossicologici degli accertamenti richiesti, lo ha prontamente comunicato agli inquirenti”. “La paziente – si legge nella nota – è stata ricoverata lo scorso 29 gennaio in condizioni cliniche molto gravi. È stata presa in carico da una équipe multidisciplinare che ha messo in campo ogni intervento clinico possibile per la cura e l’assistenza della paziente, compresi tutti gli approfondimenti diagnostici richiesti dai curanti. Per rispetto della privacy e dell’indagine in corso, Humanitas non rilascerà ulteriori commenti su nessun aspetto di questa vicenda”.
Nella foto: Imane Fadil
Adnkronos
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