“La lotta a camorra, ‘ndrangheta e mafia è la nostra ragione di vita. Il 25 aprile non sarò a sfilare qua o là, fazzoletti rossi, fazzoletti verdi, neri, gialli e bianchi. Vado a Corleone a sostenere le forze dell’ordine nel cuore della Sicilia”. Lo ha detto il vicepremier Matteo Salvini a margine della festa della Polizia, a Roma (Ansa, ore 12,35, 10 aprile 2019).
Eppure, chissà perché, a noi che siamo sempre stati vicini a chi combatte le mafie, queste frasi non riescono a scaldarci il cuore neanche un po’. Il presidente nazionale dell’Associazione nazionale partigiani ha parlato di retorica, di demagogia, di populismo. No, caro presidente dell’Anpi, le parole di Salvini sono di una povertà intellettuale da far cadere le braccia, sono il simbolo di un pensiero eversivo che lo porta ad allearsi con chi nega l’olocausto, e che lo induce a chiudere i porti quando una nave carica di migranti arriva nel nostro Paese.
Salvini non capisce che il 25 aprile è una data simbolica anche per chi combatte la mafia, per la semplice ragione che la lotta contro i dittatori e la lotta contro i boss sono la stessa cosa. Entrambe vengono fatte contro un potere che sopprime e umilia le libertà dell’essere umano.
Qualcuno può spiegare la differenza fra un Mussolini che ordina di uccidere Giacomo Matteotti e un Totò Riina che ordina di uccidere Falcone?
Quanta falsità nelle parole del ministro dell’Interno: lui dice che la lotta alla mafia, alla ‘ndrangheta e alla camorra è la “nostra ragione di vita”. Sì certo, come no. Ma non spiega che ci faceva la Lega con Dell’Utri, con Cosentino, con Cuffaro, con una pletora di personaggi legati a doppio filo con la criminalità organizzata, e oggi, soprattutto in Calabria, che ci fa con certi militanti non certo in odore di santità.
E lasciamo perdere quei 48 milioni di Euro di rimborsi elettorali finiti nelle tasche dei suoi amici di partito, che con le mafie non c’entrano assolutamente nulla, ma che sono indicativi di una mentalità che dovrebbe combattere la criminalità.
Il 25 aprile è la festa principale dell’Italia e le foto che ritraggono i momenti della liberazione sono foto di un Paese che crede in certi valori come la libertà, la verità, l’onestà e la giustizia sociale. Meno male che questa Italia c’è ancora.
Luciano Mirone
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