Nei giorni scorsi il governatore della Sicilia Nello Musumeci ha lamentato il fatto che un’insegnante della nipote ha detto alla ragazzina che il nonno, cioè lui, ha preso i voti della mafia. Il presidente della Regione se ne è lamentato, dicendo che in un primo tempo aveva pensato di chiamare il preside per segnalargli il fatto, ma poi ha cambiato idea in quanto il suo ruolo di presidente di Regione gli impone di essere superiore a certe cose.
E secondo noi ha fatto bene. Non perché il ruolo obbliga un governatore ad essere superiore sempre e comunque, ma perché il discorso, se il preside avesse redarguito l’insegnante, sarebbe arrivato lontano e quindi Musumeci, dopo aver tanto riflettuto, ha pensato bene di tenere un profilo basso.
L’insegnante certamente avrebbe potuto risparmiarsi certi commenti – peraltro molto parziali rispetto alla complessità della vicenda – nei confronti di una ragazzina che non possiede gli strumenti per controbattere e si trova in stato di oggettiva inferiorità nei suoi confronti. Detto questo, bisogna vedere se certe affermazioni sono vere, fino a che punto, ed eventualmente perché.
Siamo convinti che Musumeci non abbia mai chiesto un solo voto a Cosa nostra e non abbia mai preso tangenti. Lo diciamo perché seguiamo da tempo la sua attività e ne conosciamo l’onestà amministrativa da ex presidente della Provincia di Catania e da presidente della Regione.
La nostra stima nei suoi confronti subì un’impennata nel 2012, quando lui stesso, in rottura con una coalizione zeppa di condannati e di inquisiti, si presentò da solo come presidente della Regione e perse, a vantaggio del sedicente comunista Rosario Crocetta, che vinse, ma sacrificò sull’altare di certi paladini dell’“antimafia” rivelatisi di tutt’altra pasta (almeno secondo i magistrati), un valore che la sinistra ritiene sacro: la questione morale. Crocetta vinse le elezioni, ma si liquefece nel corso della legislatura per gli incredibili compromessi accettati.
Il vincitore morale fu Musumeci, che in campagna elettorale aveva attaccato indistintamente sia il centrosinistra, sia il centrodestra di cui, fino a poco prima, era stato esponente, ma dal quale era stato messo ai margini dal segretario del suo ex partito Gianfranco Fini (Alleanza nazionale), successivamente scomparso dalla scena politica per storie di presunti affari che lo hanno portato a un processo attualmente in corso.
Per questo quando Musumeci, nella scorsa legislatura, era presidente regionale della Commissione antimafia, fu invitato dal sottoscritto a presentare un libro impegnativo come quello su Attilio Manca, compito che egli svolse egregiamente parlando della Trattativa Stato-mafia.
Passò qualche anno. Nel 2017 Musumeci capì che le vittorie morali sono belle, ma se si vuole centrare un’ambizione politica, bisogna affermarsi alle urne. E così – memore della lezione di cinque anni prima – diventò il candidato di una coalizione composta dal peggio della politica italiana, a cominciare dall’allora lider maximo Silvio Berlusconi e finendo all’ex capogruppo di Forza Italia al Comune di Catania, Riccardo Pellegrino, fratello di Gaetano, allora sotto processo con l’accusa di essere uno degli uomini di fiducia del boss Nuccio Mazzei.
Non contento di questo, il giovane Pellegrino, candidatosi quell’anno all’Assemblea regionale siciliana, non ebbe remore ad elogiare il capo della Famiglia mafiosa mentre comiziava nel quartiere di San Cristoforo. E quando il cronista gli faceva notare che Musumeci era contrario alla sua candidatura, lui seraficamente faceva intendere di infischiarsene di Musumeci, poiché la sua partecipazione alle elezioni aveva ricevuto il placet dal coordinatore di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Miccichè, attuale presidente dell’Assemblea regionale siciliana.
Siamo convinti che l’attuale governatore abbia vissuto con lacerazione queste scelte, ma siamo altrettanto convinti che esse siano state il frutto di un calcolo ben ponderato indirizzato a soddisfare la grande ambizione di diventare governatore della sua Terra. Se sia stata un’ambizione fine a se stessa, o rivolta a cambiare la politica siciliana sarà il tempo a dirlo. Per noi Musumeci è la classica persona perbene che fa un’antimafia perbenista.
Cambiare la politica (specie quella siciliana) non è facile. Siamo convinti che per raggiungere l’obiettivo sia indispensabile mettere al primo posto dei propri valori la questione morale. Non a parole, ma con un’intransigenza durissima che deve portare a non superare mai lo spartiacque che divide la cultura dell’etica (di cui Musumeci è portatore) dalla cultura della mafia e del malaffare (di cui sono portatori molti della sua coalizione), che va combattuto “senza se e senza ma”.
Nella storia italiana ci sono stati uomini che dall’interno di un sistema gravemente malato hanno tentato di fare le loro rivoluzioni. Ne individuiamo cinque: Aldo Moro, Piersanti Mattarella e Leoluca Orlando della Democrazia cristiana; Pio la Torre ed Enrico Berlinguer nel Pci. Tre (Moro, Mattarella e La Torre) sono stati uccisi per questa ragione; uno è morto prematuramente (Berlinguer); uno si è salvato – pur essendo nel mirino delle cosche – per una serie di fattori che abbiamo cercato di spiegare in altri articoli, e fa il sindaco di Palermo (Orlando).
Tutti e cinque – pur appartenendo a schieramenti del tutto differenti – hanno cercato di rinnovare in modo trasversale la politica italiana attraverso il “compromesso storico” fra un partito governativo come la Dc e un partito d’opposizione come il Pci, avendo sempre un’unica finalità: emarginare la parte più guasta del sistema, identificata in quegli anni con la corrente andreottiana della Democrazia cristiana. Il sogno è finito con la morte di Moro, di Berlinguer, di Mattarella e di La Torre e con la definitiva presa di potere di Andreotti, di Craxi e successivamente di Berlusconi.
È rimasto l’ex leader della Rete, Leoluca Orlando, emarginato scientificamente dalla scena politica nazionale e confinato a fare il sindaco di Palermo. Un pezzo molto alto, che il potere ha voluto fargli pagare.
Nello Musumeci quel prezzo non lo ha voluto pagare: quando è stato fuori dal sistema ha perso, quando ci è entrato ha vinto. Il problema è che per vincere – e qui torniamo alle parole dell’insegnante della nipote – ha preso “anche” i voti della mafia, che lui non ha chiesto, ma che gli sono arrivati copiosamente dai diversi candidati che hanno riempito le sue liste. Ha cambiato qualcosa, o con la sua faccia onesta ha dato forza a quel sistema?
Finora ci sembra reale la seconda ipotesi. Ma siccome la politica vive di tempi lunghi, non sappiamo cosa succederà quando essa si de-berlusconizzerà.
Non sappiamo quale sarà il ruolo di Musumeci quando i leader della destra saranno definitivamente Salvini e Meloni.
Lui dice che quella del 2017 è stata la sua ultima campagna elettorale. Può darsi. Ma se il centrodestra vuole avere un futuro, non può permettersi leader estremisti. Musumeci ci sembra il più adatto ad assurgere a questa carica, sia per dialogare con gli alleati, sia per dialogare con l’Europa. Vedremo cosa farà. Solo allora daremo un giudizio definitivo.
Luciano Mirone
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