Dopo che si è assicurato il voto dei mafiosi strizzando l’occhio ai mafiosi, dopo che si è assicurato il voto razzista facendo discorsi razzisti, adesso Matteo Salvini vuole assicurarsi il voto dei corrotti proponendo l’abolizione del reato di abuso d’ufficio.

Magari non succederà, ma intanto proporlo non costa nulla, specie alla vigilia delle elezioni europee. Un bel proclama, diretto a quelle migliaia di italiani che “intenzionalmente procurano a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale”, e il gioco è fatto. Quale? Ovviamente quello di svuotare definitivamente Forza Italia, che su temi del genere, nel ventennio in cui è stata al potere, con le leggi ad personam, le prescrizioni, ecc., è stata formidabile, ma adesso che mostra l’affanno e la voce biascicata di un leader ottuagenario ormai alla frutta, meglio che si faccia da parte per dare spazio a leader giovani e spregiudicati come il buon Matteo da Milano, quello che ci vuole in tempi come questi. Il leader del blocco sociale che prima votava per il Berlusca e prima ancora per il Caf (acronimo che sta per Craxi, Andreotti, Forlani).

Per ottenere questo risultato, il leader leghista ha capito che non deve rompere coi suoi alleati apparenti (Fi e Fratelli d’Italia), e neanche con quelli veri (Casapound e Forza Nuova), pur continuando a stare al governo coi 5S. Ha capito che per non farsi stritolare delle tivù del Cavaliere e fare la fine di Fini (a proposito, provate a chiedere a un ragazzo di vent’anni chi è Fini: manco lo sa) deve continuare a fare quello che fanno certi mariti che hanno l’amante ma non vogliono lasciare la moglie: promettere amore eterno ad entrambe. Un Cetto La Qualunque meno pittoresco ma più autoritario, meno folcloristico ma più intollerante, uno che ha capito – meglio del suo ex leader – come si gestisce la comunicazione e come si fa a imbarcare il voto mafioso, pur dicendo “la mafia fa schifo”.

Salvini sta promettendo amore eterno contemporaneamente alle amanti (ovvero Berlusconi, Meloni, Casapound e Forza Nuova), e alla moglie (M5S) che sbraita dalla mattina alla sera contro un marito troppo puttaniere, il quale intanto sta svuotando anche il patrimonio della consorte: una bellissima percentuale di voti – basta vedere i sondaggi – che stanno passando a lui nel giro di pochi mesi.

Leggere per credere: “Io voglio scommettere sulla buona fede degli italiani, degli imprenditori, degli artigiani, dei sindaci”. Certo, sulla “buona fede”. Come se l’Italia fosse un Paese di ingenui che procurano “vantaggi a sé o ad altri” con il candore di un bimbo di dieci anni, malgrado il bollo di Nazione fra le più corrotte e mafiose del mondo.

Ora che finalmente abbiamo Salvini al governo scopriamo di avere “una burocrazia e una paura di firmare atti, di aprire cantieri, di sistemare scuole e ospedali”, perché, invece di rinnovare i partiti con gente perbene, è arrivato il momento di “togliere burocrazia e di togliere vincoli”.

Ma è nella frase finale che il ministro dell’Interno dà l’impressione di rivolgersi sì al blocco “moderato” (improprietà lessicale che dimostra l’anormalità di questo Paese), ma anche e forse soprattutto alla sua parrocchia: “Se uno ruba e lo becco, lo metto in galera e se ruba da pubblico ufficiale si prende il doppio della pena, ma non possiamo per presunzione di colpevolezza bloccare tutto”. Per un attimo abbiamo pensato a quei leghisti beccati ultimamente con le mani nella marmellata. Ma è stato solo un attimo. Poi l’attenzione è tornata al protagonista di questa eterna farsa italiana.

Luciano Mirone