Quando durante la campagna elettorale delle scorse europee molti ci suggerivano di votare per il medico di Lampedusa, Pietro Bartolo (Pd), confessiamo di essere stati attraversati da una certezza e da tantissimi dubbi.
La certezza riguarda il fatto che avremmo votato per una persona che merita fiducia per le eccezionali doti umanitarie che lo hanno contraddistinto nel salvare centinaia di bambini migranti. I dubbi, che avremmo votato per una persona che, pur meritando il consenso di tantissime persone, non avrebbe cambiato di una virgola il partito nel quale si è candidato.
Votandolo avremmo appagato la nostra coscienza, non votandolo avremmo appagato la nostra ragione, che ci porta a dire che la sola onestà per riformare il Pd non basta; è necessaria una strategia di rottura e di ricostruzione che veda impegnati molti soggetti a cominciare dal segretario.
Bartolo è stato eletto, e la cosa ci fa immenso piacere, ma noi continuiamo a pensare che il suo ingresso al parlamento europeo – come quello di tante altre persone perbene – non cambierà di molto la politica del suo partito. Ma non è Bartolo l’argomento di questo articolo, Bartolo è lo spunto.
Basta osservare i tanti segnali che si susseguono anche dopo l’elezione di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd. L’ultimo, in ordine di tempo, la commistione (paragonata addirittura ad una nuova P2) fra alcuni esponenti del suo partito e alcuni magistrati intenti a manipolare, attraverso varie cene, la nomina del successore di Pignatone ai vertici della Procura della Repubblica di Roma, che ha causato un terremoto all’interno del Csm.
Non sappiamo se lo scandalo si allargherà o se resterà circoscritto a questi soggetti, ma un paio di domande Zingaretti dovrebbe porsele: perché mettere le mani sulla Procura di Roma, cosa c’è di scottante in quella Procura? Non lo sappiamo, ma se si è brigato per certe finalità, qualcosa deve pur esserci, o no? Ma Zingaretti se ne è rimasto zitto.
In attesa di saperne di più, ci saremmo aspettati almeno un intervento “politico” da parte del segretario Dem, magari sulla separazione dei poteri, sull’autonomia del Csm, sull’etica di un Pd alla disperata ricerca di credibilità. Niente di tutto questo, solo una frase di circostanza: mica è vietato andare a cena con chi ci pare.
La stessa cosa che dicevano Craxi e Andreotti quando, malgrado i ladrocini e le collusioni che caratterizzavano la Prima Repubblica, asserivano che si doveva aspettare il terzo grado di giudizio per un provvedimento del partito nei confronti di un uomo politico.
Analogo argomento usò Berlusconi nei vent’anni in cui ha governato, stessa cosa dice Salvini oggi. Con un M5S che oscilla fra giustizialismo e garantismo, e una crisi di identità che alle ultime europee si è trasformata in crisi di consensi.
Ma mentre la Lega e i 5 Stelle – che comunque non hanno giustificazioni – sono più esposti dal punto di vista etico perché governano, il Pd che dovrebbe rigenerarsi attraverso una opposizione seria e intransigente, presenta tali e tante contraddizioni che rischia di diventare più vulnerabile di chi è al potere.
Basta citare i nomi di chi affollava la prima fila della presentazione di Bartolo – ci perdoni il buon Pietro che stimiamo immensamente – a Catania. Inutile citarli, chi non è di Catania non ci capirebbe molto. Gente vecchia, riciclata, protagonista di inciuci con la peggiore destra. Insomma una bella operazione di maquillage dietro la quale c’erano i soliti noti. Al cospetto di spettacoli del genere, ci chiediamo qual è il progetto di Zingaretti per i prossimi anni.
Luciano Mirone
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