A Milano fanno “un nuovo San Siro accanto al vecchio, nella stessa area della concessione. Il vecchio verrà buttato giù e al suo posto ci saranno nuove costruzioni”.
Lo ha detto il presidente del Milan, Paolo Scaroni, a Losanna con la delegazione italiana che ha presentato la candidatura (poi risultata vincente) di Milano-Cortina alle Olimpiadi invernali del 2026. E l’Inter? Assolutamente d’accordo. Parola dell’ad Alessandro Antonello. L’operazione si sta facendo in sinergia.
Che senso ha? Mentre ci poniamo questa domanda affiorano delle sensazioni struggenti che confliggono con le notizie che nel frattempo inondano le agenzie. Luci-a-San Siro che combatte strenuamente con l’odore dei soldi che percepiamo con sette anni di anticipo. A nulla sono serviti – nei mesi scorsi – i comitati e i movimenti sorti per difendere San Siro. A nulla è valsa la campagna di stampa iniziata un paio di mesi fa – bellissimo l’editoriale di Mentana – per fermare questo nuovo scempio che si prepara nel cuore del Belpaese.
Demolire San Siro vuol dire colpire al cuore il Paese, non solo per il valore architettonico che una struttura sportiva di quel genere ricopre, ma per i simboli che quello stadio rappresenta per Milano e per l’Italia intera.
San Siro è lo stadio dell’Inter di Herrera e del Milan di Rocco. Di Mazzola e di Burgnich, di Facchetti e di Jair, di Picchi, di Corso e di Moratti, di Mourinho e di Zanetti, di Rivera e di Albertosi, di Trapattoni e di Prati, di Van Basten e di Gullit, di Baresi e di Maldini, di Sacchi, di Capello e financo di Berlusconi (del calcio). Lo stadio dei trionfi e degli scudetti e delle coppe dei campioni. Dei “cumenda” e delle belle signore, dei profumi, delle pellicce e del dolcissimo dialetto meneghino, dei bambini e dei signori col vestito della domenica che abbiamo sempre visto nelle immagini in bianco e nero.
Noi certe sensazioni le abbiamo vissute come se fossimo stati sempre lì, perché San Siro è anche lo stadio di Beppe Viola e di Gianni Brera, di Roberto Vecchioni e di Enzo Jannacci, che ne hanno cantato l’anima.
E noi di quest’anima di cui ci siamo perdutamente innamorati, perché abbiamo sempre immaginato le-luci-dentro-la-nebbia, e la-mia-Seicento-e-la-ragazza-che-tu-sai”, mentre Vincenzina sta davanti alla fabbrica e sto-Rivera-che-ormai-non-mi-segna-più.
Cosa ne possono capire questi cinesi ormai padroni dell’Inter e del Milan (un ulteriore segnale del declino di questo Paese, che non riesce ad esprimere una classe imprenditoriale in grado di mantenere i grossi club), questi cinesi interessati solo a “a far danè”? E-se-le-hai-le-mani-sporche-che-importa-Tienile-chiuse-nessuno-lo-saprà.
Qui c’è un’identità da difendere contro la potenza dei soldi. E se mentre fino a qualche tempo fa si parlava di “ipotesi”, adesso l’operazione di demolire San Siro appare cosa fatta, anche se il sindaco Sala dice che è ancora presto per parlarne.
Ci saremmo aspettati ben altra posizione da parte del primo cittadino, che evidentemente non si rende conto del delitto che si sta commettendo. Ci saremmo aspettati un NO possente quanto il Pirellone, del tipo Voi-fate-i-vostri-passi-ma-il-Comune-si-oppone-e-si-opporrà-sempre. Più che altro per affermare il primato della politica e della civiltà nei confronti dei soldi. Invece niente.
Nel frattempo si lavora per il nuovo affare, dopo l’Expo, dopo Italia 90 (ricordate quanti miliardi per riammodernare gli stadi per i Mondiali, compreso San Siro? Buttati), dopo la Milano da bere e la Milano di Berlusconi (non quello del calcio).
Mentre leggiamo questo dispaccio di agenzia immaginiamo quella città fantastica che fu la Milano del cardinale Martini e dell’accoglienza, delle aquile randagie e della resistenza, e sentiamo il freddo e lo schifo di chi ha cantato che le-luci-a-San-Siro-non-si-accenderanno-più.
Luciano Mirone
Lascia un commento...