C’è davvero un “complotto” contro il Comune di Misterbianco (Catania) e segnatamente contro Nino Di Guardo, che di quella città, fino a venerdì sera, è stato sindaco (per cinque volte) opponendosi strenuamente – come dichiara orgogliosamente lui stesso – alla più grande discarica della Sicilia? Una discarica ubicata nel limitrofo territorio di Motta Sant’Anastasia, ma che diffonde i suoi miasmi soprattutto nella più vicina Misterbianco (appena 800 metri di distanza). C’è una “congiura leghista” ordita dal sindaco di Motta, Anastasio Carrà (uno dei rappresentanti più autorevoli in Sicilia di Alberto da Giussano), che dei gestori della discarica è amico stretto, mentre Salvini era ministro dell’Interno? Di Guardo giura di sì, e però non produce prove per dimostrarlo.
Dopodiché l’ex sindaco della cittadina etnea sposta le sue accuse contro il prefetto di Catania, Claudio Sammartino, “colpevole”, a suo avviso, di avere redatto una relazione al ministro dell’Interno che scaturisce dalle indagini della magistratura “sulla base di dichiarazioni di pentiti non verificate nel contraddittorio con i soggetti interessati” e dagli atti ispettivi dei tre commissari prefettizi che per mesi hanno setacciato le carte del municipio. Una relazione, quella del Prefetto, che ha determinato lo scioglimento del Consiglio comunale per infiltrazioni mafiose. Di Guardo lo definisce “crimine di Stato”, ma è davvero così?
Al centro della vicenda c’è l’ex vice sindaco Carmelo Santapaola (nessuna parentela col noto boss Benedetto), dimessosi in seguito alle accuse – sfociate nell’arresto dello scorso anno – di intestazione fittizia di beni, nell’ambito di un’inchiesta sul gioco d’azzardo che ha fatto scattare le manette ai polsi di 21 personaggi legati a determinati ambienti.
Per due legislature Carmelo Santapaola è stato al fianco di Nino Di Guardo, portandogli un paio di migliaia di voti che hanno contribuito alla sua elezione. Di Guardo sostiene che per sciogliere gli organi rappresentativi di un Comune, l’accusa di intestazione fittizia di beni non è sufficiente. Ci vuole ben altro. E lo ripete a gran voce sia nel comizio di domenica scorsa davanti ai suoi concittadini, sia nell’intervista che ieri mattina – nelle stesse ore in cui ha iniziato uno sciopero della fame per protesta – ha rilasciato a noi. Non solo. Di Guardo sfida chiunque a dimostrare che sotto la sua sindacatura sia stato prodotto un solo atto favorevole alla mafia: “Siamo un’Amministrazione trasparente, un simbolo per tutta la Sicilia”.
E nella lettera che scrive al Presidente della Repubblica (in cui chiede a Mattarella di non firmare il decreto di scioglimento) cita l’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 che prevede “lo scioglimento dei Consigli comunali quando emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori”.
Nulla a che vedere – secondo lui – con l’imputazione di Santapaola e con il modello di “amministrazione trasparente” che da quando è sindaco ha impresso al suo comune.
Senonché dalle indagini risulta che l’ex vice sindaco non sarebbe poi quello stinco di santo macchiatosi del peccato veniale di cui parla Di Guardo. Sul conto di Carmelo Santapaola, secondo i magistrati, emerge un solido collegamento con il clan mafioso dei Placenti (gruppo Santapaola-Ercolano). Ed ecco allora che questo brano del decreto coincide con quanto emerso dalle indagini.
E però fino a questo momento non sappiamo se determinati “impegni” o certi auspici dei mafiosi – come emerge dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni di qualche pentito che parla di “appalti” , di “assunzioni al Comune”, di “gestione del verde pubblico” – sono stati soddisfatti o sono stati stoppati dal sindaco. Di Guardo giura che la mafia è stata tenuta fuori dal Palazzo e chiede a Mattarella che siano “disposti ulteriori accertamenti” per dimostrarlo.
E, fino a prova contraria, è giusto credergli, poiché stiamo parlando di un uomo politico che negli anni Novanta, quando il sangue scorreva nelle strade della sua città, mise all’angolo mafiosi e amici dei mafiosi con le sue grandi battaglie. Allora Misterbianco sembrava il Far West e Nino Di Guardo, solo contro tutti, riuscì a portare il Comune allo scioglimento. Per questo merita rispetto.
Se oggi Misterbianco è una città diversa, con molti servizi che funzionano, lo dobbiamo soprattutto a lui. La mafia non è fortissima come un tempo, ma c’è ancora: vota e fa votare. Se è vero che ha votato e fatto votare Carmelo Santapaola , a usufruirne (seppure indirettamente) chi è stato? Sia alle elezioni del 2012, che in quelle del 2017, Di Guardo sapeva di che panni vestiva il suo ex vice sindaco o lo ha saputo dai magistrati nel 2018?
E però meritano rispetto anche il Prefetto e la magistratura che stanno facendo il loro dovere. Spetta a loro trovare i riscontri alle intercettazioni telefoniche e alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Finora hanno accertato dei collegamenti fra Cosa nostra e l’ex vice sindaco. Il quale, tuttavia, è stato arrestato “solo” per intestazione fittizia di beni. Che può voler dire tutto, ma può anche voler dire niente.
Aspettiamo di sapere se i presunti rapporti di Carmelo Santapaola si sono spinti oltre questo eventuale reato, e soprattutto se hanno inciso nelle decisioni dell’Amministrazione comunale, atteso che l’art. 143 del decreto legislativo n. 267 del 2000 prevede “lo scioglimento dei Consigli comunali quando emergono… elementi tali da compromettere il buon andamento e l’imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica”. In poche parole, aspettiamo di sapere se certi presunti collegamenti hanno avuto come risultante solo quel paio di migliaia di voti per Carmelo Santapaola, oppure hanno trovato esplicazione all’interno dei Comune attraverso l’elargizione di favori alla mafia. Aspettiamo di conoscere dalla magistratura chi sono le persone (i cui nomi sono coperti dagli “omissis”) che con Carmelo Santapaola avrebbero partecipato alle riunioni con certi esponenti di Cosa nostra in provincia.
E aspettiamo di leggere le motivazioni del decreto per saperne di più. Una cosa è certa: qualche anno fa, per situazioni ben più gravi, in un comune della Sicilia orientale, Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), dove gran parte dei consiglieri comunali (e non solo) risultavano collusi, non è mai stato disposto lo scioglimento del Consiglio comunale. Allora c’era il Pd al governo. A Misterbianco è bastato un vice sindaco. E al governo c’è di nuovo il Pd, lo stesso partito di Di Guardo.
Luciano Mirone
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