Rispetto al 2007, anno che precede la drammatica crisi economica, le famiglie italiane hanno ‘tagliato’ consumi per un importo pari a 21,5 miliardi di euro. A farne le spese soprattutto le piccole botteghe artigiane ed i negozi che dal 2009 ad oggi, in meno di 10 anni, sono diminuite del 12,1%, circa 178.500 unità, mentre lo stock dei piccoli negozi è sceso di quasi 29.500 unità, -3,8%. Una perdita che complessivamente registra la ‘sparizione’ di quasi 200 mila negozi di vicinato in 10 anni”. A fare il punto sulla situazione post-crisi economica è uno studio della Cgia.
La spesa complessiva dei nuclei familiari, che anche lo scorso anno ha registrato una frenata ed è ammontata a poco più di 1.000 miliardi di euro, resta la componente più importante del Pil, il 60,3 per cento del totale. A registrare il calo più importante nei consumi è il Sud: dal 2007 al 2018 le famiglie meridionali hanno “tagliato” la spesa mensile media di 131 euro (mediamente di 1.572 euro all’anno), quelle del Nord di 78 euro (936 euro all’anno) e quelle del Centro di 31 euro (372 euro all’anno).
A livello regionale, invece, in termini assoluti ed espressi in valore nominali medi è l’Umbria (- 443 euro al mese) a tirare maggiormente la cinghia; segue il Veneto (-378 euro) e la Sardegna (-324 euro). In contro tendenza, invece, i risultati ottenuti in Liguria (+333 euro al mese), in Valle d’Aosta (+188 euro) e in Basilicata (+133 euro). La situazione di difficoltà è proseguita anche nell’ultimo anno, in particolar modo al Nord: in Lombardia, in Trentino Alto Adige, in Emilia Romagna, in Piemonte, in Veneto e in Friuli Venezia Giulia la spesa mensile media delle famiglie nel 2018 è stata inferiore a quella relativa al 2017.
Sotto il profilo della composizione della spesa, sempre tra il 2007 e il 2018, annota ancora la Cgia, la contrazione più importante ha riguardato l’acquisto dei beni (-10,3 per cento), mentre i servizi sono cresciuti del 7%. Nel dettaglio, i beni non durevoli (prodotti cura della persona, medicinali, detergenti per la casa, etc.) sono crollati del 13,6%, quelli semidurevoli ( abbigliamento calzature, libri, etc.) si sono ridotti del 4,5% e quelli durevoli ( auto, articoli di arredamento, elettrodomestici, etc.) del 2,8%.
In termini percentuali, invece, la regione più colpita dalla moria di aziende artigiane è stata la Sardegna che negli ultimi 10 anni ha visto scendere il numero del 19,1%. Seguono l’Abruzzo con il 18,3% e l’Umbria con il 16,6%. L’andamento delle imprese attive nel piccolo commercio, invece, ha subito la riduzione più significativa in Valle d’Aosta con il 18,8%, in Piemonte con il 14,2% e in Friuli Venezia Giulia con l’11,6%. Rispetto al trend negativo, risultano essere di segno opposto la Calabria (+3%), il Lazio (+3,3%) e la Campania (+4,6%).
La caduta dell’acquisto dei beni, prosegue il Report Cgia, è proseguita anche quest’anno: tra il primo semestre 2019 e lo stesso periodo del 2018 la contrazione è stata dello 0,4% con una punta del -1,1% dei beni non durevoli. Interessante, invece, l’esito dei beni durevoli: quest’anno la crescita è stata del 2,9%. Tra le voci di spesa più significative va segnalata quella dei trasporti (auto, carburanti, biglietti treni, bus, tram): tra il 2007 e il 2018 la caduta è stata addirittura del 16,8% ed è proseguita anche quest’anno con un preoccupante -1%. Diversamente, le telecomunicazioni (cellulari, tablet e servizi telefonici) hanno segnato degli ‘score’ straordinari: negli ultimi 10 anni +20,1% e nell’ultimo anno +7,7%.
Le vendite al dettaglio, che costituiscono il 70% circa del totale dei consumi delle famiglie, negli ultimi 11 anni sono scese del 5,2%. Tuttavia, quelle registrate presso la grande distribuzione sono aumentate del 6,4% mentre nella piccola distribuzione (botteghe artigiane e piccoli negozi) sono precipitate del 14,5%. Sebbene il gap si sia decisamente ridotto, anche in questi primi 9 mesi del 2019 i segni sono rimasti gli stessi: +1,2% nella grande e -0,5%nella piccola distribuzione.
Adnkronos
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