Era l’anno del Signore 1636 quando nell’antico paese di Malpasso (come un tempo era denominata Belpasso) si celebrarono per la prima volta i solenni festeggiamenti – con il finanziamento di ben 40 onze – in onore di santa Lucia, proclamata patrona poco tempo prima grazie all’autonomia che il piccolo centro etneo ottenne da Paternò (21 luglio 1636).
Diventato Malpasso comune autonomo, non mancarono le prime polemiche: dato che ancora la Matrice non disponeva di una statua della santa, si pensò bene di chiedere in prestito l’immagine al priore dei padri Carmelitani, Giovanni D’Assero, che nella chiesa della Madonna delle Grazie la teneva esposta. Con l’impegno però che dopo la festa sarebbe stata restituita tale e quale era stata consegnata.
Passò la festa ma la sacra immagine restò alla Matrice. Malgrado le continue insistenze del priore, non ci fu verso di ricollocarla nella chiesa d’origine. Trascorrevano gli anni, si celebravano le feste, ma i malpassoti, quando si parlava di restituire l’icona di santa Lucia, facevano orecchi da mercante. Probabilmente perché nella nuova comunità mancava ancora una statua alla quale i fedeli potessero rivolgere le loro preghiere. Il priore perse la pazienza e, come ben documentato da mons. Francesco Mio, studioso delle origini e della storia di Belpasso, il 12 dicembre 1640 (proprio alla vigilia della festa), prese carta e penna e scrisse al vescovo di Catania, Ottavio Branciforte, lamentando lo spiacevole inconveniente. L’alto prelato incaricò il Vicario Generale di intervenire presso il parroco della Matrice perché l’effigie della martire venisse restituita, pena sanzioni severissime.
Ma anche l’intervento del vescovo fu vano. Non sappiamo se le sanzioni furono applicate, quel che è certo è che, se i malpassoti non ubbidirono neanche all’imposizione del vescovo, i motivi dovevano essere validi e anche profondi. Passarono altri anni, l’immagine della santa fu ridata alla chiesa della Madonna delle Grazie, ma un altro problema assillò il paese per molto tempo: quello di una reliquia della martire siracusana (il pezzetto di un dito) di incerta provenienza che si aggiungeva alle precedenti. “Molto discusse rimangono le notizie sulla sua provenienza”, scrive mons. Mio, “per lo smarrimento dell’autentica (che è il documento provante l’autenticità della reliquia)”.
Per molto tempo una disputa sulla vera origine del pezzo d’osso animò le discussioni dei malpassoti. Diversi furono i sacerdoti chiamati a testimoniare davanti alla Magnifica Corte Episcopale di Catania, i quali giurarono di aver visto, diversi anni prima, l’autentica conservata accanto alla reliquia. Addirittura il can. Cunsolo dichiarò di averla notata nella casa del sacerdote Mario Spampinato “manciata e lacerata dalli sorgi”.
Soltanto diverso tempo dopo – e in base ad una serie di testimonianze attendibili – la chiesa decise di esporre la reliquia alla venerazione dei fedeli. Contrastanti restarono le versioni in merito alle origini dell’osso. Ci fu chi disse che era stato portato da un frate minore del convento di Malpasso, il quale, essendosi recato a Venezia per baciare il corpo della santa martire, aveva staccato il dito dalla mano. Ci fu chi disse che esso era stato portato dalla moglie di un capitano di fregata veneziano (certa “Caterinella”) oppure dal conte Francesco di Castro da Tivoli, che l’aveva ricevuto dalla figlia adottiva, suor Vittoria Rossi, che era stata monaca presso il monastero di santa Caterina di Catania.
Scrive mons. Mio: “Il 17 luglio 1657, suor Vittoria, unica erede del conte di Castro, donava la reliquia di santa Lucia a don Francesco Strano, canonico della cattedrale di Catania, da cui l’hanno ricevuta i preti e i rettori della Matrice di Malpasso”.
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