Dice Claudio Fava, presidente della Commissione antimafia della Regione Sicilia: “Sono 61 i detenuti del territorio catanese ristretti al 41 bis. Non pochi. Eppure non vi figura più Aldo Ercolano (condannato all’ergastolo, ndr.), nonostante sia considerato dall’autorità giudiziaria l’esponente apicale, assieme a Benedetto Santapaola, della famiglia criminale egemone di Cosa Nostra in questa parte della Sicilia”.
Non sappiamo perché Ercolano non faccia piùil carcere duro, ma una cosa la sappiamo: Ercolano non è solamente il pericolosissimo killer che il 5 gennaio 1984, su ordine di Santapaola, uccise il direttore e fondatore de I Siciliani, Giuseppe Fava, padre di Claudio, che nei giorni scorsi ha segnalato il caso al ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, “nella speranza che condivida le nostre preoccupazioni e sappia intervenire di conseguenza”.
Aldo Ercolano, 59 anni, nipote e alter ego del capomafia Benedetto Santapaola (come scrive l’Ansa), è uno storico boss di Cosa nostra di Catania. E questo lo sappiamo. Ma è solo questo?
Ercolano è ‘ colui che – secondo la ricostruzione dei magistrati – incontrò Marcello Dell’Utri a Catania per “trattare” la fine degli attentati alle filiali Standa del capoluogo etneo – allora nelle mani di Silvio Berlusconi – prese di mira dal clan Santapaola. Quindi non solo uno spietato sicario, ma un abile intermediario “politico”, capace di fare da trait d’union fra l’ala militare della mafia e un ultra miliardario milanese poi diventato presidente del Consiglio, che – a parere dei giudici – avrebbe riciclato i denari delle cosche palermitane per investirli nell’edilizia con “Milano due” e nelle televisioni private con Fininvest.
Ma non è tutto: qualche mese fa questo giornale intervistato il commissario di polizia Mario Ravidà, ex componente della Dia in servizio a Catania col compito, all’inizio degli anni ’90, di catturare i latitanti più pericolosi (fra cui Santapaola).
Non sappiamo se il contenuto di questo colloquio sia collegato al fatto denunciato da Claudio Fava: noi per onore di cronaca ne riproponiamo un brano.
Per catturare Santapaola “mettemmo sotto ascolto alcune utenze, fra cui quella di un mafioso di grande caratura: un fedelissimo di Aldo Ercolano”.
Chi è costui?
“Non posso rivelarlo”.
Chi è Ercolano?
“Il braccio destro di Santapaola, nonché il killer del giornalista Giuseppe Fava. Un personaggio di alto livello ‘politico’, a volte sottovalutato perché vissuto all’ombra del grande capo”.
Basti pensare all’irruzione che una volta il padre di Aldo, Giuseppe Ercolano, fece nella redazione de “La Sicilia”, ricevuto con tutti gli onori da Mario Ciancio, per un articolo sgradito per il quale il cronista venne redarguito e l’articolo corretto nell’edizione del giorno dopo. Ma torniamo al fedelissimo di Ercolano.
“Io penso che Ercolano fosse al corrente di quello che faceva il suo fedelissimo, in accordo con la parte di Provenzano, in quanto per il personaggio che è, credo che non avrebbe mai collaborato con le istituzioni se non gli fosse stato ordinato dal suo capo”.
Dunque lei sta dicendo che questo soggetto, fedelissimo di Ercolano, avrebbe collaborato con lo Stato, con la consapevolezza del suo capo, per l’arresto di Santapaola?
“Stiamo ai fatti. Che Ercolano sia stato protetto e favorito dalle istituzioni, lo dimostra il fatto che l’ impresa di famiglia non è mai stata toccata, anzi è stata autorizzata a lavorare, malgrado fosse inserita nella black list come ‘impresa mafiosa”.
Cos’è la black list?
“La ‘lista nera’ nella quale sono elencate le ditte mafiose che non possono avere appalti”.
In questo caso che succede?
“La ditta di Giuseppe Ercolano lavorava regolarmente: prelevava la sabbia dalla foce del fiume Simeto e la rivendeva ad altre imprese per fare il calcestruzzo per la costruzione dell’autostrada Catania-Siracusa: sabbia salata, che corrode il ferro e quindi mette in pericolo l’opera pubblica”.
Ed è stata autorizzata?
“Sì. Solo dopo che denunciammo lo scandalo attraverso il rapporto ‘Cherubino’ che diede vita all’omonima operazione, fu revocata l’autorizzazione, ma solo per la fornitura della sabbia”.
Quindi fino a quel momento Ercolano lavorava tranquillamente?
“Sì. Il funzionario prefettizio che si occupava di questa cosa, Sinesio, ex autorevole esponente dei servizi segreti, disse di non essersi accorto della ‘black list’. Sapete chi è Sinesio? Si faccia una ricerca su questo nome”.
Dalla ricerca (notizia Adnkronos, 4 maggio 2012, pubblicata da Repubblica online) risulta che il giudice Alessandra Camassa, deponendo al processo Mori a Palermo, ha dichiarato: “Un ex agente dei Servizi, amico di Borsellino, Ninni Sinesio, dopo la strage di via D’Amelio, mi chiamò per chiedermi di incontrarci e nel corso di un incontro mi fece un sacco di domande sulle ultime indagini di Borsellino. Era insistente, voleva sapere se erano venuti fuori elementi sull’imprenditore agrigentino Salamone e sul ministro Mannino. Io non diedi troppo peso alla cosa, ma mio marito (anche lui giudice, ndr.) si meravigliò di tutte quelle domande’. Durante il pranzo, poi, Sinesio avrebbe spinto la Camassa a riferire delle rivelazioni fatte a Paolo Borsellino dal pentito Gaspare Mutolo sull’ex Sisde Bruno Contrada. ‘Quando finii di parlare – ha detto ancora Camassa – Sinesio si alzò in preda a un attacco di tosse e andò in bagno. Mio marito mi disse: ‘Guarda che è andato a telefonare’. ‘Poi – ha concluso Camassa – seppi che Contrada era stato avvertito delle indagini a suo carico”. Che vuol dire?
“Fate voi. Il mio collega che fece notare a Sinesio l’incongruenza che Ercolano continuasse a lavorare, benché fosse inserito nella ‘lista nera’, fu trasferito nel giro di poche ore in un altro settore della Dia. Sarà una coincidenza, ma è un fatto”.
E allora che succede?
“Sentiamo e registriamo una telefonata nella quale questo mafioso importante del clan Ercolano parla con Antonio Manganelli, allora direttore dello Servizio centrale operativo (Sco). Manganelli dice: ‘Come è finita là?’… Risposta del mafioso: ‘Mi dovete dare una settimana, quindici giorni e ti faccio sapere dov’è” (del contenuto della conversazione sono certo, ma non delle precise parole che ho riportato).
Quindi il dottor Manganelli, allora direttore dello Sco, aveva una interlocuzione diretta con il fedelissimo di Ercolano?
“ Sì. Qualche magistrato della Procura di Catania era al corrente di questo contatto, mentre altri che si occupavano della stessa indagine sono stati completamente tenuti all’oscuro”.
E quindi?
“Santapaola viene catturato con queste modalità. Nel momento in cui l’allora responsabile della Dia di Catania viene a conoscenza di questa cosa, ordina: ‘Nascondiamo immediatamente questa registrazione, non lo diciamo a nessuno’. Manganelli scopre di essere stato intercettato e si incazza di brutto: ‘Che fate, mi intercettate?’. Questa cosa viene chiusa e da allora non si è saputo più niente”.
Questo cosa dimostra?
“Che diversi uffici investigativi erano a conoscenza della trattativa Stato-mafia per prendere (anche) Santapaola. Perché di una cosa dobbiamo essere certi: i grandi boss sono caduti tramite confidenze, non tramite indagini”.
Questo un brano dell’intervista al Commissario Ravidà.
Ma torniamo ad oggi. L’Ansa scrive che la notizia della revoca del cosiddetto carcere duro, al boss Aldo Ercolano è emersa nell’audizione della Commissione antimafia regionale di due giorni fa nella Prefettura di Catania, durante la quale, scrive Fava, “tutti hanno messo in evidenza lo stridente contrasto tra l’intatta autorevolezza e la pericolosità criminale che viene a tutt’oggi riconosciuta all’Ercolano, e la revoca del 41 bis che lo ha restituito al circuito detentivo normale. Fatto incongruo, preoccupante, non comprensibile”.
“Peraltro – si legge ancora nella missiva al ministro Bonafede, inviata per conoscenza anche al procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro – recenti indagini giudiziarie, e la testimonianza di alcuni collaboratori di giustizia, hanno confermato la capacità di controllo e di comando che l’Ercolano, sia pur detenuto da molti anni, conserva pressoché intatta sugli affiliati del suo gruppo criminale: si ritiene che i Santapaola-Ercolano raccolgano oltre la metà di tutti gli affiliati a Cosa Nostra di Catania. Le scrivo sapendo che i margini di intervento che le competono, pur non essendo esclusivi, possono rivelarsi decisivi per indurre chi ne ha il compito istituzionale ad una rivalutazione della posizione dell’Ercolano e della revoca del 41 bis di cui ha beneficiato”.
Fava ricorda che in passato “era stata disposta la revoca del carcere duro ad Aldo Ercolano” e che “il ministro della Giustizia dell’epoca, l’onorevole Orlando, trovò modo e forme perché venisse rivalutata” e il “provvedimento fu annullato”.
Luciano Mirone
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