Una storia recuperata dagli anfratti della memoria e giunta magicamente fino ai nostri giorni grazie al paziente lavoro dell’Associazione Nazionale Carabinieri di Adrano (Catania), che in questi giorni ha ricordato la figura del giovane Carabiniere a cavallo Angelo Rognoni, al quale è stata intitolata una via, la sezione locale dell’Arma in congedo e la bellissima mostra sull’Arma allestita nei locali di Palazzo Bianchi. Una mostra – proveniente dalla collezione privata del Generale Di Martino e dalla Sala della Memoria del Comando regionale di Palermo – che raccoglie divise, cimeli, fotografie di vita quotidiana risalenti addirittura alla fine dell’Ottocento.
Angelo Rognoni fu ucciso in un conflitto a fuoco nel 1905 a soli ventitré anni. Ad Adrano nessuno si ricordava di lui. Neanche le ricerche effettuate nel suo paese di origine (Dorno, in provincia di Pavia) hanno sortito effetti, al punto che del militare non esiste una fotografia che ne ricordi il volto, neanche al cimitero di Adrano, dove Angelo è seppellito.
La storia del Carabiniere Rognoni (Medaglia d’argento al valor militare assegnata con Regio decreto) è una storia d’altri tempi, perché racconta una giovane vita spezzata nel fiore degli anni, e la generosità dei colleghi che, dopo la sua morte, fecero una colletta per costruirgli una tomba e farlo rimanere ad Adrano.
Angelo era uno dei tanti ragazzi poveri di quell’Italia contadina, arruolatosi nell’Arma sia per sbarcare il lunario, sia perché credeva negli ideali risorgimentali che la Benemerita ha sempre coltivato..
“Angelo Rognoni”, dice Il luogotenente Giuseppe Russo, presidente dell’Associazione nazionale Carabinieri di Adrano, “non aveva né fratelli né sorelle, i genitori probabilmente non vennero neanche ai funerali. La tomba dove è stato seppellito è formata da una lastra di marmo con una colonna spezzata”.
Ma come è stata riscoperta la figura di Rognoni? “Per caso”, seguita il presidente. “Da bambino, quando andavo al cimitero, venivo incuriosito da questa tomba: perché quella colonna spezzata, chiedevo a mia nonna. E lei a spiegarmi il significato metaforico di quel cippo mozzato. Da quel momento è come se avessi fatto una promessa a quel giovane Carabiniere. Quando da grande mi arruolai nell’Arma, cominciai ad interessarmi di questo militare: neanche al Comando generale, a Roma, possiedono la sua immagine. Non mi sonio perso d’animo. Ho cercato ancora.. Dopo tanti anni siamo riusciti a rendergli l’onore che merita”.
Barbara Contrafatto
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