Un progetto che potrebbe rivoluzionare il futuro delle popolazioni che vivono nel territorio del fiume Simeto e che parte da quei cittadini desiderosi di dare una svolta a delle comunità per troppo tempo mortificate da una politica che ha pensato più a cementificare che a valorizzare. Un progetto che parte “dal basso” e che si ripromette di “contaminare” le istituzioni – che pure ne fanno parte – attraverso la partecipazione e il coinvolgimento di cittadini, associazioni, fondazioni e pro loco presenti nel territorio.
È il “Patto del Fiume Simeto”, un’iniziativa promossa una decina di anni fa con una grande mobilitazione per scongiurare la costruzione dell’inceneritore nella Valle del Simeto, e che ora si ripromette di “creare un futuro migliore a questo territorio”.
Ecco allora che all’iniziativa hanno aderito ben dieci comuni con i rispettivi sindaci di Paternò, Adrano, Biancavilla, Santa Maria di Licodia, Belpasso, Motta Sant’Anastasia, Ragalna, Centuripe, Troina e Regalbuto. Con la partecipazione straordinaria – e questa è una rivoluzione nella rivoluzione – dell’Università di Catania (con il rettore in prima fila) che sta contribuendo non poco all’elaborazione del progetto.
Silvana Ranza, bergamasca ma belpassese d’adozione, è presidente del Presidio di fiume, un organismo nato all’interno del “Patto del fiume Simeto” (presieduto dall’ex sindaco di Paternò, Graziella Ligresti), che ha il compito di coordinare i 180mila cittadini residenti nei vari comuni e di presidiare il territorio dalle aggressioni degli speculatori.
“E’ un progetto – dice Silvana Ranza – che si colloca a un livello differente rispetto al passato e ha il fine di creare uno sviluppo sostenibile attraverso la salvaguardia e la valorizzazione del nostro territorio. L’idea è di creare una comunità matura. Ricordate i Patti territoriali e le Agenzie di sviluppo? Sono esistiti fino a quando c’è stato un canale di finanziamento, ma non hanno lasciato uno sviluppo duraturo. Mancava la maturità. Erano progetti che partivano dall’alto, dalle istituzioni. Questo parte dal basso, da noi, per questo siamo in un momento storico importante”.
Quali i campi d’intervento?
“Soprattutto cinque: la regimentazione e l’uso razionale dell’acqua del fiume; i rifiuti zero mediante la raccolta differenziata e le apposite aree di smaltimento; l’agricoltura biologica, l’artigianato e il turismo di qualità; il recupero del patrimonio naturalistico, artistico ed edilizio; la mobilità sostenibile. A questi vanno aggiunti la sanità, l’istruzione e la cultura”.
C’è anche la partecipazione dell’Università.
“L’Università ha messo a disposizione le sue competenze per farci capire come si converge su un progetto di sviluppo di un territorio. Per portare avanti un’idea di sviluppo, non basta essere onesti o colti. È fondamentale il supporto degli Atenei”.
Il progetto comprende anche il dialogo con le Amministrazioni comunali, con i sindaci.
“Sì, ma tutto parte dalla gente e resta in mano alla gente. Se si vuole incidere nelle decisioni di lunga prospettiva, bisogna interagire con la politica. Dobbiamo essere noi a contaminare la politica, entrare nelle istituzioni e cambiare il loro modo di concepire il territorio”.
Un punto fondamentale del vostro progetto è lo sviluppo sostenibile attraverso la salvaguardia e la valorizzazione delle risorse del territorio. Come vi ponete, ad esempio, con un’Amministrazione comunale che approva un progetto di cementificazione?
“I sindaci, nel sottoscrivere la convenzione per entrare nel Patto, si sono impegnati a modificare lo Statuto comunale, laddove si parla di rispetto dell’ambiente e del paesaggio. Il fine non è quello di denunciare sempre e comunque, ma di anticipare delle iniziative di cementificazioni selvaggia. Ecco perché dico che è necessario maturare il senso della protesta che deve diventare proposta”.
È stato detto che questa iniziativa va avanti a prescindere dai finanziamenti. La gente però vuol vedere risultati concreti. O no?
“Il progetto è nato a prescindere dai finanziamenti, che pure arriveranno e non saranno pochi. Non devono essere i soldi a legarci, ma una consapevolezza differente che ogni cittadino deve avere nei confronti del proprio territorio. La colpa non è solo di chi fa male, ma anche di chi, quando qualcuno te ne offre la possibilità, non partecipa ai processi di cambiamento”.
Redazione
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