“Aveva difeso una persona e lo minacciavano per questo motivo. Voleva tornare in Pakistan per la prima volta dopo tanti anni per una breve vacanza ma non lo rivedremo mai più. Adesso non sappiamo neanche come fare tornare la salma in Pakistan. Noi siamo gente povera, chiediamo solo che venga fatta giustizia” (Ansa).
Siddique Adnan, manutentore di macchine tessili, da Lahore, metropoli pakistana a Caltanissetta, cittadina siciliana. Trentadue anni fino a qualche giorno fa. Il 3 giugno lo hanno ammazzato con cinque coltellate.
I sogni e il dovere di mandare i soldi alla sua famiglia, e alla mamma, a papà e ai suoi fratelli. Nove fratelli lontani in questa città del Pakistan, che fa undici milioni di abitanti. E nonostante il carico della sua vita, Siddique non era stato capace di farsi i fatti propri e aveva difeso altri esseri umani dai caporali. Per questo prima lo hanno minacciato, poi a botte fino a mandarlo in ospedale, poi continuato a tormentare. Finché tutta la sua vita è finita, con cinque coltellate. Lo hanno ammazzato cinque pakistani.
Ogni giorno Siddique andava a prendere il suo caffe al bar Lumiere in via Arco Colasbern e così si era assai fatto volere bene.
Siddique stava in Italia da cinque anni, che sono tanti e che ti fanno portatore di cittadinanza; adesso la sua famiglia vorrebbe riportarlo in Pakistan.
La Speranza si, ma anche l’onore che lo Stato dovrebbe dargli per essere stato d’esempio per tutti e non aver taciuto contro l’ingiustizia che colpisce i più poveri.
Nella foto: Siddique Adnan
Fabio D’Urso
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