C’è qualcosa che non quadra nel duro scontro che contrappone l’ex presidente del Parco dei Nebrodi Giuseppe Antoci e l’attuale presidente della commissione antimafia all’Assemblea regionale siciliana (Ars) Claudio Fava. Il primo continua ad attaccare il secondo di averlo “mascariato”, infangato, e il Gip di Messina Simona Finocchiaro, pochi giorni fa, ha messo il suo sigillo bollando le tesi della Commissione come frutto di ‘elucubrazioni mentali non corroborate da alcun dato probatorio’, spingendosi oltre e parlando di ‘eventuali illazioni’ in merito al ‘coinvolgimento’ di Antoci nella presunta ‘messinscena’ dell’attentato di cui quest’ultimo, nella notte fra il 18 e il 18 maggio 2016, rimase vittima, per fortuna senza conseguenze. Il problema è che nel documento dell’antimafia siciliana non si parla di ‘coinvolgimento di Antoci’. E allora di cosa stiamo parlando?
Pietra dello scandalo: la relazione dell’antimafia regionale stilata nell’ottobre scorso per una ‘chiarezza – si legge – dovuta anzitutto a Giuseppe Antoci, che da oltre tre anni attende di capire cosa sia davvero accaduto quella sera’, dato che questo episodio è stato paragonato, per efferatezza, alle stragi mafiose di Capaci e di via D’Amelio.
Va ricordato infatti che Giuseppe Antoci è stato autore dell’importante “Protocollo”, che fa parte del vigente Codice Antimafia con il quale si impedisce a Cosa nostra di ottenere ingenti finanziamenti europei nel settore zootecnico. Quindi quando si parla di Antoci, bisogna tener presente che si parla di una personalità importante e di tutto rispetto sul fronte antimafia.
I fatti. Una strada di montagna al buio, dei sassi disposti sulla carreggiata per interrompere il cammino dell’auto blindata dove l’ex presidente del Parco dei Nebrodi viaggia assieme alla scorta; tre spari che colpiscono la fiancata sinistra (ma del fucile che ha sparato non si sono mai trovati i bossoli), delle molotov rinvenute a poca distanza, che secondo gli investigatori sarebbero servite agli attentatori per incendiare l’auto blindata e costringere gli occupanti a scendere, in modo da ucciderli poco dopo.
Improvvisamente arriva a gran velocità il dirigente del commissariato di Sant’Agata di Militello, Daniele Manganaro (assieme all’assistente capo Tiziano Granata che guida), spara contro gli attentatori (tre, secondo la versione dei poliziotti) e li mette in fuga.
Su questa ricostruzione si innescano fortissime polemiche. Manganaro, quella sera “fuori servizio”, si era trattenuto a cena con Antoci e con il sindaco di Cesarò Salvatore Calì, col quale il funzionario di polizia mostra di essere in ottima amicizia.
Quando finiscono, Antoci prende con la scorta la strada per Santo Stefano di Camastra, dove risiede, mentre Manganaro si trattiene per circa dieci minuti col sindaco di Cesarò, in attesa di tornare a casa. Poi, “insospettito improvvisamente dalla presenza di alcuni personaggi inquietanti che avevano stazionato davanti al ristorante”, cambia programma e dice all’assistente capo Tiziano Granata di procedere velocemente verso la direzione opposta in modo da raggiungere Antoci “in pericolo”.
Secondo l’antimafia siciliana, i soggetti che avrebbero messo ‘in pericolo’ la vita dell’ex presidente del Parco dei Nebrodi sono ‘braccianti agricoli’ con precedenti per ‘lesioni, rissa, ubriachezza, attività illecita di raccolta di veicoli fuori uso, porto di oggetti atti ad offendere’.
La macchina sfreccia in mezzo ai boschi: bisogna annullare quei dieci minuti di gap, questione di vita o di morte. Manganaro corre verso Antoci, e però non mette sull’avviso la scorta, “per evitare tensioni”, dice lui. Recupera il ritardo, arriva sul luogo dell’attentato, spara contro gli attentatori (tre, secondo la versione dei poliziotti) e li mette in fuga.
Su questa ricostruzione la Polizia si spacca: certi settori la difendono a spada tratta, altri nutrono enormi perplessità. I Carabinieri sposano le tesi di questi ultimi.
Nello scorso ottobre la relazione dell’Antimafia regionale viene trasmessa alla Procura di Messina, chiamata ad indagare per la seconda volta sulla vicenda. Archiviazione anche stavolta, su proposta del sostituto procuratore della Dda Fabrizio Monaco.
Oggetto dello scandalo: il passo nel quale la commissione, sulla scorta delle numerose audizioni (di testimoni, investigatori, magistrati, giornalisti, congiunti) e degli atti giudiziari archiviati per la prima volta dal Gip peloritano, ha inteso “verificare” le ipotesi emerse: “Un attentato mafioso fallito che intendeva eliminare il dottor Antoci; un atto dimostrativo destinato non ad uccidere ma ad avvertire (la vittima o altri ambienti criminali locali sui quali far ricadere la responsabilità del fatto); nessun attentato ma solo una messinscena (che renderebbe Giuseppe Antoci doppiamente vittima, in quanto del tutto inconsapevole di tale simulazione)”.
“Doppiamente vittima del tutto inconsapevole”. La Commissione regionale è chiara. Dove consiste il “mascariamento” di Antoci? Tutt’al più potrebbe sentirsi “mascariata” la scorta, tirata in ballo per la presunta ‘messinscena’ o ‘simulazione’. Ma Antoci? Perché il Gip di Messina scrive che ‘la conclusione raggiunta dalla Commissione (ossia che l’ipotesi dell’attentato mafioso sia la meno plausibile) appare preconcetta’? Perché Antoci chiede con veemenza le dimissioni di Fava? Perché certi ambienti della Società civile amplificano queste accuse? Non lo sappiamo, ma ribadiamo che tutto questo non ci convince.
Se nella relazione si parla di “Antoci vittima”, perché si continuano a forzare i fatti? Perché si sposta la discussione su Fava e non ci si concentra sul ‘piccolo’ particolare che l’indagine non è riuscita a cavare un ragno dal buco (“l’avvenuta esplorazione di ogni possibile spunto investigativo non consente di ravvisare ulteriori attività idonee all’individuazione di alcuno degli autori dei delitti contestati”)? Perché dopo quattro anni, mandanti ed esecutori sono ancora a spasso? Perché certi ambienti dell’”antimafia militante” non cominciano a porsi più dubbi e a sparare meno sentenze sui Social?
Perché la fidanzata di Tiziano Granata – uno degli agenti della scorta morto “per cause naturali” poco tempo dopo l’attentato – parla di “decesso avvenuto per avvelenamento”? Perché le indagini vengono affidate allo stesso commissariato (Sant’Agata di Militello) nel quale fanno servizio gli uomini della scorta di Antoci, compreso il commissario Manganaro? Perché dopo l’attentato non sono scattati i posti di blocco previsti in casi del genere? Perché non si sono fatti dei rilievi tecnici per accertare se le pietre disposte sulla strada per bloccare la macchina sulla quale viaggiava Antoci erano superabili? Perché non sono stati trovati i bossoli delle armi che hanno sparato? Perché non è stata tenuta in considerazione la testimonianza del comandante della Stazione dei carabinieri di Cesarò sulla scarsa capacità di delinquere (‘Quelli al massimo sono buoni per rubare un vitello…’) dei soggetti che si aggiravano quella sera nei pressi del ristorante dove ha cenato Antoci assieme all’ex sindaco di Cesarò e al commissario Manganaro? Perché non è stata data importanza alle intercettazioni telefoniche “a tappeto” dalle quali emerge che la mafia dell’intera Sicilia era completamente all’oscuro dell’attentato? E’ vero – come si legge in una lettera anonima – che i proiettili spediti ad Antoci prima dell’attentato “sono calibro 9 per 9, Luger, in esclusiva dotazione alle forze di polizia dotate di armi parabellum, per chi si esercita nei poligoni di tiro Uits”? Perché non sono mai stati fugati i “forti dubbi” emersi dalle inchieste giornalistiche di Francesco Viviano dell’Espresso, di Paolo Mondani di Report, di Mario Barresi de La Sicilia, di Enzo Basso di Centonove su alcuni aspetti che riguardano la dinamica dell’agguato?
Ad esempio…
‘Nella mia attività di giornalista mi arrivavano… echi di fortissimi scontri dentro il commissariato di Sant’Agata di Militello e una sorta di scontro anche politico perché questo commissariato si era trasformato in una sezione staccata del Pd’ (Enzo Basso).
“Queste figure che spariscono nel bosco di notte, un funzionario di polizia che volontariamente, senza essere in servizio, parte per andare a Cesarò… c’è qualche cosa che ha a che fare con la cinematografia…” (Enzo Basso).
“Perché la mafia prepara tre molotov, mai usate in precedenza, a mio ricordo, dalla mafia? Perché lasciano i mozziconi di sigaretta ma non c’è un DNA compatibile? Perché hanno cura di non lasciare impronte sulle bottiglie molotov mentre lasciano i mozziconi? Raccolgono i tre bossoli di fucile sparati contro la blindata. Io mi chiedo: quando avrebbero avuto il tempo di raccoglierli siccome, dice Manganaro, lui arriva contemporaneamente agli spari”? (Paolo Mondani).
‘Chi ha ordinato la strage veramente? Chi l’ha realizzata? E perché per un fatto di questa gravità le indagini si sono curiosamente fermate?’ (Paolo Mondani).
Luciano Mirone
Se mafia e antimafia risultassero un tuttuno, beh, allora sarebbe meglio affidare la guida del paese tutto a popoli esteri, sicuramente meno inclini per cultura e genetica al crimine, a delinquere, al cinismo anche gratuito, tipico dello stivalazzo, celebre per aver dato i natali ai più grandi delinquenti nella storia dell’umanità! Ghigliottina agli italianazzi.
e se l’opera di delegittimazione forse proprio l’arma principale usata dalla mafia? non sarebbe la prima volta… ma poi, una sola domanda dovrebbe bastare a mettere fine ai tanti dubbiosi: cui prodest? Il commento ‘Nella mia attività di giornalista mi arrivavano… echi di fortissimi scontri dentro il commissariato di Sant’Agata di Militello e una sorta di scontro anche politico perché questo commissariato si era trasformato in una sezione staccata del Pd’ (Enzo Basso)… echi fortissimi non hanno mai fatto la storia e tanto meno degno giornalismo