È quando ti affacci dal finestrino del trenino in corsa che capisci che la cosa più bella del viaggio è abbassare il vetro, sporgersi e ammirare uno dei paesaggi più belli del mondo, mentre la littorina della Ferrovia circumetnea fa il giro del vulcano più alto d’Europa sferragliando ed emettendo quel fischio quasi afono in prossimità dei passaggi a livello custoditi e incustoditi, delle stazioni e dei caselli più sperduti.
Vi raccontiamo questo itinerario strambo, suggestivo e romantico dopo che il tabloid inglese The guardian, in questi giorni, ha inserito il percorso Catania-Riposto effettuato dal trenino della Circum fra i dieci più belli del mondo, una tesi confermata dal Fondo ambiente italiano (Fai) che l’ha inserito fra i viaggi più affascinanti del Belpaese.
Con una avvertenza per il lettore: il nostro giro dell’Etna è stato fatto qualche anno fa, quando ancora il “parco mezzi” della Fce disponeva solo di quei vagoni da ferrovia boliviana che da decenni si inerpicano sulla Montagna e rendono il viaggio più pittoresco che mai.
Affacciarsi dal finestrino è un gesto trasgressivo e appassionato che ti riporta all’infanzia, quando il treno era il luogo dove ti mischiavi col vento grazie a quel vetro apribile dall’alto. Ma, mentre nei convogli delle Ferrovie dello Stato trovavi il cartello del “Vietato sporgersi dal finestrino”, qui non c’è neanche questo, cosa che rende questa avventura molto più attraente di quello che si possa credere.
Sì, perché se viaggi in Circumetnea, può capitare che il viaggiatore più sprovveduto – soprattutto straniero – possa sbattere il muso contro una pala di fichidindia o un ramo di pistacchio e di ginestra che urtano sulla littorina che cammina a trenta all’ora.
Il nostro viaggio “fuori dal tempo” comincia alle 9,23 di un sabato d’autunno dalla stazione Borgo di Catania, fra i palazzoni costruiti negli anni Sessanta, che certamente Edmondo De Amicis ai primi de Novecento, quando fu folgorato dalla vaporiera dell’Etna, non vide, così come la regina Elena assieme al re Vittorio Emanuele, quando il 30 maggio 1911, transitarono con la littorina fra due ali festanti di folla per tutto il tragitto. E si conclude nel mare di Riposto, 110 chilometri dopo, dall’altra parte della Montagna, per una durata di oltre tre ore – lo stesso tempo che ci mette un aereo da Catania a Milano – ed un cambio di vettura a Randazzo. Certo, ai tempi di De Amicis e dei Reali d’Italia, la vaporiera ci metteva sette ore, quindi qualche qualche passo avanti l’abbiamo fatto.
È un viaggio diverso da quello in macchina, che mantiene sempre le distanze fra la strada e il resto del paesaggio. Quello in trenino ti fa immergere dappertutto, nei palazzi, negli alberi, nelle rocce laviche che il treno lambisce a pochi centimetri.
Il viaggio in Circum è un elogio alla lentezza, non solo per l’andatura della locomotiva, ma anche perché ti dà la possibilità di gustare il paesaggio e i piccoli gesti quotidiani, comprese le conversazioni che si facevano negli scompartimenti dei treni di una volta: il macchinista che scende alla stazione di Piedimonte, beve un sorso d’acqua dalla fontanella e si rimette in marcia; il viaggiatore che ti parla della sconvolgente invenzione di una nuova moneta che potrebbe rivoluzionare il corso della storia, perché sostituirà l’Euro ed “eliminerà la disoccupazione”.
Sì certo, questo non è il viaggio di De Amicis e della famiglia reale, quando a predominare era la natura. Oggi, in certi tratti, prevale decisamente l’uomo. E’ come assistere alla dura lotta fra la distesa degli ulivi di Valcorrente, “lunghi limati storti” (come li descriveva Giuseppe Sambataro), inframezzati dai filari dei cipressi, e i tre chilometri ininterrotti di cemento, vetro e acciaio del centro commerciale Etnapolis.
Alla stazione di Valcorrente la sbarra del passaggio a livello viene alzata manualmente dall’addetto alla ferrovia, mentre improvvisamente, dopo un curvone, ti si para davanti Paternò, con il castello Normanno che dalla Collina storica domina la città che si distende nella valle del Simeto, e i palazzoni somiglianti a quelli descritti da Pasolini in “Ragazzi di vita” spuntano in mezzo agli agrumeti.
Pochi chilometri dopo, Santa Maria di Licodia e Biancavilla, con le stazioni sotterranee e ultramoderne – le scale mobili, le pareti in ceramica, i pavimenti gommati – costituiscono le prime testimonianze del passaggio fra passato e futuro, fra un viaggio nel sottosuolo con una locomotiva d’altri tempi e il treno ultramoderno della metropolitana che fra alcuni anni la sostituirà e scorrerà lungo le rotaie che collegheranno in un batter d’occhio i paesini dell’Etna con il capoluogo.
Ma è ad Adrano che il trenino comincia ad inerpicarsi lungo il sentiero ferroviario dell’Etna. Adesso i simboli dell’era moderna non esistono più, il mare di pistacchi che si estende nel territorio di Bronte sommerge questo trenino che da oltre un secolo scorrazza allegramente accanto a questi tronchi che sembrano le anime dannate dell’inferno dantesco.
Ed è proprio in questi luoghi che “devi” affacciarti dal finestrino per essere un tutt’uno con la natura incontaminata, dove vedi il raccoglitore di frastuche (pistacchi) e il fiume Simeto che disegna una traiettoria sbilenca laggiù e le lontane Troina e Centuripe appollaiate sulle montagne. Quando il treno si ferma a Bronte, una piccola lastra di marmo indica che siamo ad 834 metri sul livello del mare.
Percorriamo le ampie praterie fra Bronte, Maletto e Randazzo, dove le gigantesche pietre, le tholos, si trovano lì dalla notte dei tempi, mentre un gregge di pecore, una mandria di buoi e un magnifico branco di cavalli bianchi e marroni brucano le sterpaglie secche di fine estate e la terra è sempre più arsa dal sole e l’Etna vista da quaggiù è più maestosa.
Arriviamo a Maletto e poi a Randazzo, con le antiche masserie, le case aristocratiche, i palmenti e le cisterne, l’abbeveratoio, i muri a secco, i terrazzamenti lavici, gli alberi di querce, di castagno, di pero e di fichi che si distendono nel pedemonte, per lasciare il posto, poco più avanti, agli immensi vigneti pieni di uve nere da cui si ricava un vino straordinario, di cui Solicchiata, Passopisciaro e Piedimonte sono le patrie. Improvvisamente si arriva in un altro bellissimo centro, Linguaglossa, con la stazione ubicata nel bel mezzo del paese.
Ma il colpo di scena ce l’hai qualche chilometro dopo, quando vedi il mare di Riposto, con il suo porto e le sue barche, mentre l’Etna si allontana sempre più e la pianura diventa più ampia man mano che il treno prosegue. Adesso vediamo le fabbriche e i palazzi che abbiamo lasciato 100 chilometri fa. Siamo al capolinea. Vorremmo tornare indietro.
Luciano Mirone
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