Sugli atti di terrorismo legati agli incendi in Sicilia qualcuno deve dare delle spiegazioni. O le centinaia di associazioni siciliane che dallo scorso febbraio chiedono “provvedimenti adeguati alla gravità della situazione”, oppure il presidente del governo della Regione Sicilia, Nello Musumeci, che soltanto ora, ad inizio agosto – dopo che l’Isola è stata divorata dal fuoco – chiede al governo nazionale lo “stato di mobilitazione di Protezione civile per la calamità legata ai paurosi incendi di questi giorni”, e dichiara che se dipendesse da lui darebbe “l’ergastolo ai piromani”, accusando gli “sciacalli” di “fare politica” attraverso la “strumentalizzazione degli incendi”, come, a suo dire, “è successo con la pandemia”.
In realtà è dallo scorso inverno che l’associazione Salviamo i boschi – al cui interno operano numerosi sodalizi non assolutamente sospettabili di strumentalizzazioni politiche – invia lettere al governatore dell’Isola con delle proposte per arginare il fenomeno, per non parlare degli esposti trasmessi alle Procure di mezza Sicilia che hanno lo scopo di avviare delle inchieste serie sulle cause che hanno armato le mani dei piromani.
Nessuna risposta da entrambi i fronti, secondo i denuncianti. Ma mentre sul fronte giustizia, perseguire un reato del genere è molto difficile con le norme inadeguate che attualmente ci sono in Italia, sul fronte politico avviare una programmazione autorevole per fronteggiare il fenomeno appare sicuramente più facile, specie se si tiene conto che l’elenco delle richieste è stato accompagnato – nello scorso marzo, quando ancora si contavano “solo” 36mila ettari bruciati l’anno precedente – da una petizione di 50mila firme indirizzata proprio a Musumeci.
Nella lettera non si chiedeva di risolvere “tutto e subito”, ma solo di cominciare ad avviare una pianificazione concreta per evitare di trovarsi spiazzati in estate di fronte alla catastrofe, come in realtà sta succedendo (e ancora siamo all’inizio di agosto). Insomma, un atto di buona volontà e di dialogo che, a parere delle associazioni, non c’è stato. Forse siamo stati distratti noi – e se lo siamo stati chiediamo scusa agli interessati – ma non ci pare che in questi mesi l’emergenza incendi sia stata al primo posto dell’agenda politica del governo siciliano.
Quali richieste sono state inoltrate nello scorso inverno da Salviamo i boschi? Dagli “interventi di pulizia, manutenzione delle vie d’accesso e di prevenzione adeguati e attuati con le giuste tempistiche (entro il 15 maggio e non a giugno inoltrato come avviene abitualmente ogni anno)” al “potenziamento della sorveglianza e del controllo del territorio, con più risorse umane e mezzi più efficaci e moderni (telecamere termiche, bacini idrici d’acqua dolce, ecc.)”, ma anche “un maggior controllo interno ai corpi preposti per individuare e punire omissioni ed inefficienze”; dalle “sanzioni più dure contro gli incendiari ma anche e soprattutto contro i Comuni che non si dotano o non aggiornano il Catasto dei suoli percorsi dal fuoco”; da una “riforma del settore forestale che garantisca lo sviluppo polifunzionale e sostenibile delle attività boschive”; al “presidio e la tutela del territorio anche attraverso il coinvolgimento di diversi attori (forestali, protezione civile, enti gestori, associazioni e organizzazioni di volontariato, agricoltori e allevatori)”.
Ora, ci rendiamo conto che un corpus di proposte così articolato non può essere risolto immediatamente, ma è altrettanto vero che così non si può andare avanti. Bisogna pur iniziare. E lavorare per finire il lavoro in tempi brevi: gli incendiari non aspettano i tempi biblici della politica. Agiscono e basta.
E siccome il fenomeno non riguarda la sola Sicilia ma l’intera Penisola, è indispensabile un’azione dello Stato, con un coordinamento con le Regioni, che preveda il coinvolgimento dell’Associazione nazionale comuni italiani e dei sindaci, una normativa nuova, delle pene certe ed esemplari per i piromani, degli strumenti efficaci per la magistratura, a cominciare dagli apparati investigativi che vanno dotati di uomini e di mezzi.
E invece – secondo quanto denunciato dalle testate online Livesicilia, Meridionews e I Siciliani, oltre che di Legambiente – assistiamo all’incendio devastante di mezza provincia di Catania, compresa l’Oasi e la Valle del Simeto, con un sacco di aziende agricole carbonizzate e ridotte sul lastrico, ma quasi tutti gli organi di informazione concentrano la loro attenzione sul lido Le Capannine distrutto dalle fiamme, col sindaco del capoluogo Salvo Pogliese che chiede ristori (anche) per lo stabilimento, non disdegnando una bella foto col gestore. Peccato che lo stesso gestore, a parere dei giornali citati, risulti fortemente legato alla cosca Santapaola. In compenso la figlia dello stesso, si legge, “è stata la consigliera del Pd più votata a Catania nel 2013 ed eletta presidente del Consiglio comunale”.
Nella foto: l’incendio che ha devastato la zona di Catania
Luciano Mirone
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