Adesso che la Roma avrà il suo stadio, anche la Lazio, per par condicio, reclama il suo. E perché non farlo costruire anche alla Fiorentina, al Napoli, al Palermo, perfino al Catania che prima di sprofondare in serie C per illecito sportivo, voleva realizzarne uno alla Piana? Ognuno crede che “l’impianto di proprietà” – con annessi centri commerciali, ristoranti, musei e tanto altro – faccia grande una squadra, a prescindere dai calciatori, dai vivai, dai dirigenti, dalla mentalità e da tanto altro.
Pratichiamo uno dei calci più noiosi d’Europa, abbiamo stadi vuoti con gente sempre più violenta, ma crediamo di essere all’avanguardia perché vogliamo cementificare nuovi spazi verdi per far felici palazzinari e speculatori, senza che nessuno ci spieghi che fine farà il mitico Olimpico, la bellissima Favorita, il “Comunale” di Firenze e il “San Paolo” di Napoli. E siccome siamo tutti moderni, nessuno lo spiega, e neanche chiede spiegazioni.
Tutti a dire che bisogna seguire l’esempio Juventus, che da quando si è fatta lo stadio ha iniziato un ciclo di successi e di affari straordinari. Vero. Nessuno dice però che quell’esempio non è frutto di un affarismo ottuso, ma di una lungimiranza che si sposa sì con i soldi, ma anche con una cultura che tiene conto della sostenibilità, del buon senso e della programmazione: lo Juventus Stadium è sorto sul preesistente Delle Alpi, operazione di restauro che non ha comportato ulteriore consumo di suolo, ma ha portato alla realizzazione di uno degli impianti più belli e funzionali d’Italia.
Stesso esempio possiamo fare con l’altro impianto della città, lo Stadio olimpico Grande Torino (gestito dalla società granata), sorto sul preesistente “Comunale”, realizzato durante il fascismo e diventato teatro – fino agli anni Duemila – di epiche partite della Juventus e del Toro.
Scelte intelligenti hanno fatto anche ad Udine e a Cagliari con un restyling dei vecchi impianti dove è stato possibile allestire delle strutture a misura di famiglia e di ambiente. A seguire gli esempi appena fatti vuole essere il Bologna mediante una ristrutturazione del glorioso Dall’Ara, anche questo con annesse strutture per il tempo libero. E – sembrerà strano, ma è così – l’Inter che non vuole andare via da San Siro. Non si hanno notizie del Milan: si aspettano i cinesi per capire meglio.
In ogni caso, questi esempi dimostrano che la politica del recupero è possibile.
E allora perché Pallotta e Lotito (Roma e Lazio), Della Valle (Firenze), Zamparini (Palermo) e De Laurentiis (Napoli) portano avanti discorsi “alternativi”? Ognuno dia la risposta che crede.
E però noi ne vorremmo porre altre di domande. Nel 1990 l’Italia fu sede di un campionato mondiale di calcio. Furono spesi moltissimi miliardi, troppi, per l’ampliamento degli stessi stadi allora considerati all’avanguardia, ma oggi, secondo diversi presidenti, da abbandonare al loro destino. Ci furono polemiche aspre per l’adeguamento dell’Olimpico di Roma, ritenuto invasivo dal punto di vista ambientale. Alla fine – siccome si doveva aumentare la capienza – vinsero i fautori del cemento. Poi arrivarono le partite televisive a pagamento – che hanno portato un sacco di soldi alle società – e molti spettatori scoprirono che gli incontri di calcio si possono vedere stando seduti comodamente in poltrona senza essere coinvolti in quel clima di violenza che si crea in diversi stadi prima, durante e dopo una gara. Risultato: stadi sempre più vuoti, violenza aumentata, livello qualitativo del nostro calcio sempre più deprimente.
Ora alcune società di calcio pretendono la botte piena e la moglie ubriaca: vogliono i soldi dei diritti televisivi (tanti) e al tempo stesso stadi più piccoli da costruire in altre aree, senza spiegare quale sarà il destino dei vecchi e straordinari impianti che nel corso degli anni sono diventati depositari di una memoria storica che può essere rinverdita solo mediante il restauro e non l’abbandono. Ma il problema – come in tutte le cose – riguarda le scelte politiche, non quelle societarie (queste ultime finalizzate a promuovere i propri legittimi interessi). In certe città la politica – almeno in questo settore – ha dimostrato di esistere, in altre città decisamente no. Torino, Udine, Cagliari e Bologna sono esempi virtuosi. Firenze, Napoli, Palermo e Catania esempi ancora da definire: la decisione del nuovo stadio è stata “congelata” magari per non urtare la suscettibilità dei presidenti. L’esempio da considerare negativo è Roma, non certamente per responsabilità della Raggi, sindaca da pochi mesi, ritrovatasi con un progetto deciso da altri: l’eliminazione di quel progetto avrebbe comportato il pagamento di una penale stratosferica. La nuova amministrazione capitolina si è limitata a fare quanto era nei suoi poteri: cancellare tre grattacieli senza senso concepiti dai progettisti e dai fautori dell’opera.
Altra domanda: e se fra dieci anni anche i nuovi stadi dovessero essere troppo grandi, o troppo piccoli, che facciamo, ne costruiamo di altri?
Luciano Mirone
Lascia un commento...