Egregi Ministri per la Transizione ecologica Roberto Cingolani e delle Infrastrutture e Mobilità sostenibili (Mims) Enrico Giovannini, nei giorni scorsi avete esultato per la “svolta epocale” dovuta alla modifica degli articoli 9 e 41 della Costituzione in merito alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico. “Questo voto del Parlamento – ha detto Cingolani – segna una giornata epocale: testimonio qui la presenza del governo che crede in questo cambiamento, grazie al quale la nostra Repubblica introduce nei suoi principi fondanti la tutela dell’ambiente”.
A stretto giro di posta gli ha fatto eco il collega Giovannini: “Grande soddisfazione per l’ok del Parlamento alla modifica della Costituzione con l’inserimento della tutela dell’ambiente e del principio di giustizia intergenerazionale”.
Perdonateci egregi Ministri, ma non comprendiamo la vostra euforia: la tutela dell’ambiente era già prevista dalla Costituzione. Basta leggere l’articolo 9: “La Repubblica italiana tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Poche parole per dire che il “paesaggio” e il “patrimonio storico e artistico” non sono categorie astratte, ma beni di tutti, quindi da preservare ad ogni costo.
Le modifiche apportate di recente arricchiscono di certo la Carta, ma non ne cambiano la sostanza: di salvaguardia si parlava prima, di salvaguardia si parla adesso. Certo, l’articolo 9 è stato valorizzato specificando che la Repubblica tutela “anche” l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, mentre la variazione dell’articolo articolo 41 prevede che “nessuna iniziativa economica privata può svolgersi in modo da recare danno alla salute e all’ambiente”. Bello, certo!
Ma da qui a parlare di “svolta epocale”, ce ne corre. Perché? La “svolta epocale” si verificò l’1 gennaio del 1948, quando (anche) questi articoli della Costituzione entrarono in vigore. Il principio fu ripreso da Carlo Azeglio Ciampi negli anni in cui fu Presidente della Repubblica: “Forse l’articolo più originale della nostra Costituzione repubblicana è proprio quell’articolo 9 che trova poche analogie nelle costituzioni di tutto il mondo. La presenza dell’articolo 9 tra i ‘principi fondamentali’ della nostra comunità offre un’indicazione importante sulla ‘missione’ della nostra Patria, su un modo di pensare e di vivere al quale vogliamo e dobbiamo essere fedeli. Lo ha detto chiaramente la Corte Costituzionale in una sentenza del 1986, quando ha indicato la ‘primarietà’ del valore estetico-culturale che non può essere subordinato ad altri valori, ivi compresi quelli economici”.
Sono passati settantaquattro anni dal varo della Costituzione e la “svolta”, purtroppo, non c’è stata: i due articoli non sono stati mai rispettati. Mica gli unici. Ce n’è un altro che è stato clamorosamente mortificato: “L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”. Basta vedere le cifre dei disoccupati (soprattutto al Sud) per capire che questo principio, al di là delle nobili intenzioni dei Padri costituenti, rappresenta un insulto alla dignità di migliaia di persone.
Stessa cosa riguarda la tutela del paesaggio. Basta girare il nostro Paese per vedere lo scempio consumato in questi decenni: case e villaggi turistici costruiti sulla battigia; centri commerciali concentrati nel raggio di pochi chilometri (nella sola Città metropolitana di Catania si è perso perfino il conto); abitazioni abusive e capannoni realizzati nelle zone agricole; piani regolatori mai redatti o scaduti da un sacco di tempo; rappresentanti politici che siedono negli scranni dei Consigli comunali, delle Regioni e del Parlamento grazie ai voti degli abusivi, che loro stessi foraggiano con progetti, sanatorie edilizie, certificati di idoneità statica, contributi, finanziamenti e tanto altro.
Ecco perché l’altro giorno, quando abbiamo riportato la notizia della modifica degli articoli 9 e 41, con le dichiarazioni dei due ministri, abbiamo provocatoriamente pubblicato la foto di uno dei tanti capannoni realizzati in area agricola, malgrado la “tutela del paesaggio” prevista dalla Costituzione. Egregi ministri, quel capannone (assieme agli altri) ritratto in foto ha una storia: informatevi chi lo (li) ha progettato (i), informatevi chi, invece di vigilare sul territorio, ha fatto l’esatto contrario e ne riparliamo.
In Italia molte assemblee rappresentative sono affollate da questi personaggi che spesso siedono nei banchi della maggioranza, decidono con i loro voti il destino del territorio, condizionano perfino le scelte di chi – per cultura e per tradizione politica – dovrebbe difendere i valori dell’ambiente e del paesaggio. Basta vedere certe alleanze per capire che questi ultimi, spesso, diventano funzionali a certi disegni perversi. Leggete anche, egregi ministri, con chi si vuole alleare il Pd siciliano alle prossime elezioni e poi riparliamo anche di questo.
Avete presente il famoso tavolo descritto da Francesco Rosi nel film “Le mani sulla città” (in quel caso Napoli), dove siedono il palazzinaro d’assalto, il politico rampante, l’urbanista che deve redigere il Piano regolatore, il funzionario comunale, impegnati a distruggere il territorio per fare affari sulla pelle del popolo?
Lo stesso popolo che non solo non capisce che i Signori del cemento stanno rubando il loro futuro e quello dei loro figli, ma li elogia perché portano lavoro e sviluppo. Dopodiché accade il colpo di scena: crolla un pezzo di centro storico, ci sono morti e feriti, i sopravvissuti vengono deportati nelle “città satellite” che si rivelano peggiori dei tuguri dai quali sono fuggiti.
Le mani sulla città è solo una metafora. Basta la modifica di un paio di articoli della Costituzione per fermare un cancro che sta divorando il Paese? Ma consentiteci un altro esempio. Adesso con i soldi dal Pnrr rischiamo di ritrovare le nostre campagne piene di pale eoliche e di pannelli fotovoltaici. Che farà in quel caso la politica? Consentirà tutto questo in nome delle (sacrosante) energie alternative o troverà un punto di equilibrio tra queste e la valorizzazione dell’agricoltura?
Ecco perché, egregi Ministri, ci chiediamo in cosa consista la “svolta epocale”. La vera “svolta” dovrebbe essere quella di una classe dirigente nuova, preparata e soprattutto avulsa da secondi fini. Fino a quando questo non succederà, è meglio mantenersi cauti.
Luciano Mirone
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