“Quarant’anni fa giovani di tutto il mondo si riunirono in Sicilia, qui a Comiso, a protestare contro i missili, a fermare la guerra e a chiedere ai potenti del mondo un mondo di pace”. E’ l’appello che il foglio I Siciliani giovani lancia attraverso lo “speciale” dedicato alla marcia per la pace e contro la guerra in Ucraina (oggi, lunedì 4 aprile, ore 16 a Comiso), organizzato da molte associazioni della società civile. Un appello per proseguire la lotta che quattro decenni fa fu di Giuseppe Fava e di Pio La Torre cui aderirono migliaia di persone.
“Quel giorno – si legge su I Siciliani – servì a qualcosa: i missili non partirono, vecchi muri crollarono, nuovi capi sovietici offrirono la pace. Sembrò che un mondo giovane si avvicinasse. Ma non fu così. Nuovi muri si alzarono, nuove ambizioni si spiegarono, la pace fu derisa, vecchi odi si aizzarono. Sull’unico pianeta tornò a regnare la guerra”.
“Noi – è scritto sulla storica testata fondata da Giuseppe Fava – , giovani di allora, chiediamo a voi giovani di adesso: lottate, come noi, per la pace! Nessuno può più vincere nessuna guerra, la guerra è il suicidio idiota di tutto ciò che siamo”.
Questo l’elenco delle associazioni organizzatrici: Acli Sicilia, Addiopizzo, Anci Sicilia, Anpi Sicilia, Arci Sicilia, “Il femminile è Politico”, Centro Impastato, Memoria e futuro, Centro Paolo e Rita Borsellino, Centro Pio La Torre, CGIL Sicilia, Comune di Palermo, Comunità di Sant’Egidio, Comunità Siciliana Islamica, Confcoop Sicilia, Erripa “Grandi”, Fondazione Costa, Fondazione Falcone, Istituto Arrupe, Legacoop Sicilia, Libera Sicilia, UIL Sicilia.
Su I Siciliani giovani un articolo scritto 40 anni fa da Giuseppe Fava (“Ti lascio in eredità i missili di Comiso”). Questo il testo:
Voglio fare un discorso corretto e sereno sui siciliani, premettendo naturalmente che io sono perfettamente siciliano. Un discorso cioè sulla stupidità dei siciliani. Noi affermiamo spesso d’essere straordinariamente intelligenti, quanto meno di avere più fantasia e piacere di vivere, rispetto a qualsiasi altro popolo sulla faccia della terra. Non è vero! La storia è là a dimostrarlo. Da migliaia di anni siamo semplicemente terra di conquista, gli altri arrivano, saccheggiano, stuprano, costruiscono qualche monumento, ci insegnano qualcosa, e se ne vanno. Noi ci appropriamo di una parte di quella civiltà, a volte diventiamo anche i custodi del tempio, in attesa che arrivi un’altra ondata saccheggiatrice. Siamo quasi sempre colonia per incapacità di essere veramente popolo. Presi i siciliani ad uno ad uno, può anche accadere che taluno riesca ad esprimere (nella poesia, nel delitto, nella finanza, nell’arte) attimi di ineguagliabile talento. Sono quelli che ci fottono, che ci danno l’impressione, spesso la certezza di essere i migliori. Nella realtà, presi tutti insieme, siamo quasi sempre un popolo imbecille.
L’ultimo monumento civile che gli altri stanno erigendo nella colonia Sicilia, sotto lo sguardo inerte degli indigeni, sono le rampe per i missili atomici. Discutiamone per un istante poiché si tratta della nostra vita e soprattutto di quella dei nostri figli. La guerra nucleare è come un assassinio mafioso: non si dichiara ma si esegue, cioè si scatena senza preavviso e nel momento più imprevedibile. Accade che una delle due parti, nella disperazione di essere condannata alla sconfitta, o nella illusione di poter fulmineamente annientare il nemico e vantare alla fine una popolazione superstite, decida l’aggressione atomica. La quale naturalmente deve essere totale e contemporanea, cercando anzitutto di colpire e distruggere il maggior numero di strutture belliche avversarie. Anche questo è un perfetto principio mafioso: mai dare uno schiaffo al rivale, né sparargli alle gambe, ma mirare direttamente al centro degli occhi in modo da non correre alcun rischio di reazione.
A sua volta la nazione aggredita ha una sola possibilità di sopravvivenza: incurante cioè delle sue città annientate e dei suoi milioni di morti, reagire quanto più fulmineamente e spaventosamente possibile, cercando di colpire subito gli obiettivi essenziali dell’avversario, anzitutto naturalmente le strutture di offesa nucleare. Anche questo rientra nella perfetta logica della lotta: tu mi spari al centro degli occhi, prima di morire debbo disperatamente tentare di spararti al cuore. L’ipotesi di guerra nucleare è questa soltanto: una reciproca, folgorante distruzione delle rispettive strutture atomiche e delle grandi città, dopo di che gli eserciti tradizionali, in tute di amianto e piombo, cominceranno lentamente ad avanzare, eliminando pietosamente gli agonizzanti e imprigionando i superstiti.
Tutti sanno questo. Da quarant’anni migliaia di scienziati, generali e politici lavorano a perfezionare questo progetto di distruzione contemporanea e totale sicché è assolutamente certo che in Russia e America hanno raggiunto in tal senso la perfezione: oramai sono in condizione nei giro di due minuti di colpire gli obiettivi essenziali del nemico ed essere annientati. Il tutto completamente computerizzato: all’essere umano non resta nemmeno il compito di premere il fatidico pulsante. Per gli esseri viventi i cervelli elettronici hanno calcolato esattamente il tempo di farsi la croce.
Ciò premesso, per capire esattamente la situazione siciliana, valutare cioè il significato dell’impianto di missili nucleari in Sicilia, sarebbe opportuno immaginare (ma non ci vuole molta fantasia) la cronaca di quanto accaduto in un giorno imprecisato dello scorso agosto, poco prima del mezzogiorno a Mosca, in uno dei misteriosi sotterranei del Cremlino (a prova di offesa atomica naturalmente, poiché i capi politici ed i massimi strateghi, siano essi duri capitalisti reganiani, oppure cupi marxleninisti, hanno provveduto per tempo e perfettamente alla loro incolumità e scamperebbero certamente all’apocalisse atomica, salvo poi essere impiccati dai vincitori o, alla meglio, essere divorati da qualche affamata banda di superstiti).
Ebbene in quel mattino di quell’imprecisato giorno d’estate, al Cremlino si è riunito un vertice strategico al quale hanno partecipato ministri della guerra, marescialli e scienziati. Dall’Italia era arrivata notizia che erano stati concessi i primi appalti per la costruzione della base di missili nucleari a Comiso. La notizia precisava che gran parte degli appalti erano stati concessi a cavalieri del lavoro, siciliani e settentrionali, e questo particolare aveva fatto una grande impressione perché anche al Cremlino è giunta voce della straordinaria bravura e rapidità dei cavalieri nell’esecuzione delle opere pubbliche. Su una parete del grande salone sotterraneo moscovita si stendeva la mappa dei due emisferi sulla quale Comiso era indicata come un puntolino rosso e luminoso in mezzo all’azzurro del Mediterraneo.
La riunione è stata lunga e approfondita. Politici e militari sovietici hanno esaminato tutti gli aspetti della situazione, al fine di indicare esattamente quali obiettivi in terra russa i missili siciliani potrebbero eventualmente colpire e, viceversa, da quali basi sovietiche l’impianto di Comiso poteva essere raggiunto e distrutto nel più breve tempo possibile. Pare che dieci missili a testata atomica bastino. Si tratta di stabilire perfettamente traiettorie e rotte, roba che i sofisticatissimi congegni elettronici di punteria possono decifrare in pochissimo tempo. Comunque alla fine è stato deciso di affidare ad una équipe scientifi – co – militare il compito di mettere perfettamente a punto entro due anni (cioè prima della costruzione della base sia completata) una struttura offensiva che da basi di terra o dal fondo del mare, per mezzo di sommergibili atomici, o forse anche dallo spazio dagli imminenti satelliti nucleari, possa concentrare su Comiso (guerra offensiva o reattiva non importa) un uragano nucleare in meno di novanta secondi. Nei calcoli è prevista una approssimazione del dieci per cento, il che significa che, per avere la certezza di distruggere la base di Comiso nel raggio di dieci chilometri, viene prevista una distruzione dell’area circostante, per il raggio di cento chilometri. Vale a dire da Messina a Capo Passero. Circa trecento fra città e paesi e tre milioni di abitanti.
L’équipe sovietica si è messa subito al lavoro. Scienziati e militari designati accoppiano la disciplina cieca del buon marxista alla paziente fantasia della gente russa. In questo momento dunque in un laboratorio misterioso del territorio russo, c’è un team di tecnici e strateghi che sta lavorando esclusivamente a questo progetto: un sistema di offesa nucleare che, in meno di cento secondi, possa infallibilmente uccidere tre milioni di siciliani in mezzo ai quali ci onoriamo di essere io che scrivo e voi che leggete, i nostri genitori, fratelli, figli, amici, ed anche le case dove nascemmo, le strade dove camminiamo, i nostri libri pazientemente raccolti, le fotografie di tre generazioni, il diploma di laurea, il libretto di risparmio, e tutte quelle altre infinite, minuscole, preziose cose che compongono la nostra vita. Da quel giorno di estate, mezza Sicilia, quelli che siamo vivi e quelli che nasceranno, sarà costretta a vivere con questa ipotesi di morte atomica sopra la testa, un’apocalisse che forse non si verificherà mai e tuttavia niente esclude che possa accadere (anche per errore) da un momento all’altro in meno di cento secondi. Si sono appropriati di una parte di noi ed anche di una parte dell’amore per i nostri figli. Un giorno accadrà che i nostri figli o i nipoti che ancora debbono nascere ci guarderanno negli occhi con un sorriso sprezzante, e ci chiederanno: voi dove eravate quando fu deciso di costruire la base (di missili a Comiso e condannarci quindi a vivere una vita provvisoria. Come vi siete permessi di appropriarvi anche del nostro destino umano prima ancora che fossimo concepiti. Un essere umano afflitto da un’atroce inguaribile deformità, il quale apprende che il padre pur sapendo che sarebbe nato malato, deforme ed infelice, volle tuttavia egualmente farlo nascere, ha il diritto di sputare in faccia al padre.
E mentre questa cosa terribile accade, la nostra massima reazione è stata una lamentosa protesta dell’assemblea regionale, i politici siciliani si sono intabarrati nel loro impaurito silenzio, i sindacati nazionali disposti a battersi furentemente per le “una tantum” sono rimasti in stato di ebetudine, migliaia di buoni ragusani hanno espresso soprattutto la loro preoccupazione sull’equo prezzo degli espropri per gli impianti militari, altri stanno febbrilmente organizzando qualche buona iniziativa commerciale, alberghi, villaggi turistici, balere, ristoranti tipici (da quelle parti si fa la migliore salsiccia del mondo). Inutile indignarsi se da cento anni lo Stato italiano ci tratta da colonia. Per incapacità politica e per strafottenza popolare, troppo spesso meritiamo di esserlo. E invece sarebbe tempo che imparassimo ad essere finalmente padroni del nostro destino storico, specie quando esso coincide con una grande causa civile e umana.
Giuseppe Fava
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