Si chiama Pug (Piano urbanistico generale) e sostituisce il vecchio Prg (Piano regolatore generale), ma per Filippo Gravagno, docente di Pianificazione urbanistica all’Università di Catania ed ex componente del Consiglio regionale dell’Urbanistica, si tratta di un’operazione gattopardesca, nel senso che “è stato cambiato tutto per non cambiare nulla”. Anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, la nuova norma (approvata dall’Assemblea regionale siciliana nel 2019) “peggiora la situazione”.

Il professor Filippo Gravagno, docente di Pianificazione urbanistica all’Università di Catania. Sopra: una sequenza del film “Le mani sulla città” di Francesco Rosi

Perché professore?

“Perché esistono delle anomalie nella nuova procedura di formazione del Pug”.

Cioè?

“Nei vecchi Prg, a monte di questa procedura, c’erano le Direttive di Piano date dal Consiglio comunale”.

Cosa sono le “Direttive di Piano”?

“Le linee guida date dal Consiglio sulla pianificazione del territorio, al quale il redattore del Piano doveva attenersi. Queste erano emanate tenendo conto anche della relazione stilata dall’Ufficio tecnico comunale che analizzava l’intero territorio, indicando le parti più problematiche dello stesso. Il civico consesso, quindi, era al centro dell’iter di un atto di indirizzo politico”.

Dopo cosa succedeva?

“La Giunta comunale, prendendo atto di ciò, dava incarico all’Ufficio di Piano (laddove esisteva) oppure a un tecnico esterno, di predisporre il Piano che doveva essere materializzato innanzitutto nello Schema di massima, che doveva essere ispirato dall’atto di indirizzo politico e dagli studi ‘settoriali’ (geologici, agricolo forestale, idraulici, ecc.). Su questo il Consiglio comunale decideva cosa  approvare o modificare. Solo dopo si arrivava alla redazione del Prg definitivo che poteva essere adottato del Consiglio. Poi avveniva la trasmissione al Consiglio regionale Urbanistica, che aveva il compito di verificarne la congruità e approvarlo o respingerlo”.

Cosa cambia col Pug?

“C’è uno scardinamento delle regole democratiche: non esiste a monte una delibera di Consiglio sulle ‘direttive’. Il primo atto ad essere discusso dal Consiglio è di fatto un documento equivalente al precedente Schema di massima”.

Questo cosa vuol dire?

“Che le decisioni di indirizzo della pianificazione territoriale vengono demandate all’organo esecutivo (la Giunta), e non all’organo di indirizzo e di controllo vero, cioè il Consiglio comunale. Questo, a mio avviso, costituisce un grave vulnus democratico, poiché spoglia l’Assemblea civica di una prerogativa fondamentale e svilisce il principio democratico del dibattito. La Giunta, di fatto, dà le indicazioni utili ad individuare le varie zone territoriali omogenee, i vincoli e  diversi altri punti molto importanti. Il Consiglio è chiamato solo a ratificarle successivamente.

Riassumiamo professore: lei praticamente dice che il Consiglio comunale viene spodestato dei suoi poteri di indirizzo, che passano alla Giunta, giusto?

“Esatto. Ma c’è di peggio”.

Cosa?

“Alcune aree, con l’approvazione dello schema di massima da parte del Consiglio diventeranno immediatamente esecutive, senza che ci sia alcun ‘serio’ controllo degli organi istituzionali della Regione”.

E quindi?

“Quindi la nuova legge non risolve assolutamente i tanti problemi rilevabili nel precedente processo di formazione e approvazione dei Piani regolatori, ma li aggrava notevolmente”.

Secondo la legge, il Pug deve adeguarsi al Piano territoriale regionale e provinciale. Questi strumenti sono stati varati?

“Assolutamente no. Parlando del Piano territoriale si tratta di un Piano che aspira ad essere la sintesi di Piani territoriali settoriali che si occupano di trasporti, di parchi, di riserve, di acquedotti, di rischi idrogeologici, di discariche e di tanto altro e che nella loro gran parte ancora non sono stati redatti dalla Regione. I Piani territoriali provinciali si richiamano a quello regionale, ma con un approfondimento delle peculiarità di quel territorio. I Pug, quindi, dovrebbero  essere coerenti anche con i contenuti e le indicazioni di questi due strumenti”.

Scusi, ma se il Piano regionale e provinciale non è stato redatto, come fa un Comune a redigere il proprio strumento urbanistico?

“In teoria può farlo, lo Statuto regionale glielo consente, dato che attribuisce ai Comuni l’esclusiva competenza di pianificare sul proprio territorio. Ma con questa legge, oggi, si opererebbe ancora alla cieca rispetto alla gran parte delle scelte e decisioni di scala regionale e sovra comunale. Poi però c’è un’altra questione da risolvere”.

Quale?

“Il reperimento delle risorse. A Catania, ad esempio, sono necessari da 2 a 3 milioni di Euro per redigere il Pug. In mancanza di queste risorse non si potrà mai redigere un Pug serio. Per questo dico che con la nuova legge, la Regione non ha risolto le criticità precedenti, con l’aggravante che ha distrutto il principio del controllo democratico che era garantito dalla legislazione precedente”.

Come finirà?

“I Pug non si faranno mai, si faranno solo varianti che serviranno ai soliti noti per portare avanti certi interessi”.

Non crede di essere un po’ pessimista?

“Mi auguro di sbagliarmi. Credo però nella funzione della Società civile. Le cose non è detto che debbano rimanere sempre uguali. Bisogna dibattere, proporre, sollecitare e progettare”.

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Domani, 8 aprile 2022, alle 17,30 presso la sala conferenze della Biblioteca comunale “Roberto Sava” di Belpasso (Catania) si svolgerà il convegno “La Belpasso che vogliamo”, organizzato dall’omonimo Comitato (di cui il sottoscritto fa parte). Previsti gli interventi di Antonino Recupero (“In che situazione ci troviamo”), Vito Sapienza (“Nasce il Comitato Pug di Belpasso, La Città che vogliamo”), Maristella Longhitano (“La partecipazione e l’ascolto dei cittadini. Il nuovo modo di pianificare”), Gianni Russo (“I principi della riforma urbanistica”), Tony Carciotto (“Il nuovo iter di approvazione del Piano urbanistico generale -Pug”), Lorenzo Piana (“Perché è utile programmare”), Luciano Mirone (“Proporre un’idea differente di sviluppo del territorio”), Antonino Girgenti (“Cosa chiediamo alla politica”).  

Luciano Mirone